DAILY LA PAROLA

Cattivo

L'etimologia della parola ci riporta a una visione religiosa del comportamento malvagio, come se il cattivo fosse in realtà un posseduto, letteralmente un "prigioniero del diavolo"

Cattivo, la persona d’animo malvagio, che fa il male in piena consapevolezza e talvolta se ne compiace pure, deriva dal latino captivus che, curiosamente, vuol dire “prigioniero”. L’aggettivo viene infatti dal verbo capere, che significa prendere, portare via. Dunque il cattivo è sostanzialmente un prigioniero, ma di che cosa o di chi? Di sé stesso, delle proprie debolezze, dei propri vizi? Gli antichi preferivano attribuire l’essere cattivo al volere del demonio, captivus diaboli, cioè prigioniero del diavolo. Con il passare del tempo la connotazione demoniaca è sparita ed è rimasto soltanto il cattivo. Ma se andiamo a ricercare anche l’etimologia di “diavolo”, scopriamo che indica colui che divide, che mette zizzania e quindi avversario, nemico. Insomma, cattivo è chi è prigioniero di colui che divide.

La storia è costellata di cattivi e cattivissime, eppure nella maggior parte dei casi sembra trattarsi di persone perfettamente consapevoli della propria malvagità e in grado di esercitare il male con piena volontà. Erode, Nerone, Attila, il conte Dracula, Torquemada, Alessandro VI (il papa Borgia), Enrico VIII, Jack lo Squartatore, Hitler, Stalin, Pol Pot: vogliamo dire che erano solo “prigionieri del diavolo”? Deresponsabilizzarli delle proprie azioni? Cattivi contro la propria volontà?

Certo anche le donne sanno essere cattive: da Maria la sanguinaria alla Cianciulli ne sono pieni i libri di storia e le cronache dei giornali. Ma questi e analoghi personaggi sono cattivi (“preda del diavolo”) o criminali (dal latino crimen, reato, a sua volta derivato dal verbo cernere che significa “distinguere”, quindi avere consapevolezza di ciò che si fa)?

Lasciamo sospeso l’interrogativo filosofico e occupiamoci dei cattivi del nostro immaginario, dal “lupo cattivo” utilizzato come spauracchio per i bambini, ai cattivissimi del cinema e della letteratura. Le classifiche dei più cattivi dello schermo vedono ai primi posti Hannibal Lecter di Il silenzio degli innocenti, Norman Bates protagonista di Psyco e Jack Torrance di Shining. Ma anche in questo caso ci si può chiedere qual è il confine tra la cattiveria e la malattia mentale, che non ha nulla di cattivo se non per chi ne è afflitto.

Uno dei più cattivi e perturbanti della storia del cinema è Keyser Söze de I solito sospetti, proprio perché non si sa chi è, trama nell’ombra ed è il regista occulto di tutto, come un “grande fratello”.

Nella letteratura per ragazzi il cattivo per antonomasia è Franti, quel ragazzino descritto da De Amicis come un infame che ride pure quando il maestro gli tuona contro: «Franti, tu uccidi tua madre». Un ribelle al sistema, invece, rivalutato da Umberto Eco nel celebre Elogio. Quando si cresce si incontrano Iago, Don Rodrigo, il doctor Faustus, Mister Hyde, il dottor Frankenstein, l’ispettore Javert, il conte Dracula, Achab, Tom Ripley e tanti altri, che sarebbe però riduttivo considerarli personaggi a una dimensione. Non sono semplici cattivi, ma figure tragiche. Rappresentano ciò che non siamo e non vogliamo essere, e perciò il loro essere inquietanti ci tranquillizza.

Ma cerchiamo di cogliere anche il lato leggero dell’essere “cattivi”. L’aggettivo talvolta è usato con ironia, magari nella forma accrescitiva o dispregiativa – cattivone, cattivaccio – per dire l’esatto contrario. «Sei veramente cattivo», detto durante un bacio appassionato è una figura retorica che si chiama antìfrasi e solo il contesto permette la disambiguazione.

Al femminile l’aggettivo assume sfumature ancora diverse. Cattiva è talvolta anche chi si è liberata da restrizioni e condizionamenti e va dritta per la propria strada perseguendo i propri obiettivi. Non a caso si dice che «le brave ragazze vanno in paradiso, ma le cattive dappertutto». E, allora, mettiamoci in marcia.