LA PAROLA

Chavismo

L’aereo plana lentamente verso Caracas. Nella notte serena, oltre le nuvole, la città si rivela come uno sterminato presepio luminoso. Dall’altoparlante, la voce ferma del pilota chiede ai passeggeri di non allontanarsi dall’aeroporto dopo l’atterraggio, per ragioni di sicurezza. A terra: lo scalo presidiato, la corsa in taxi verso l’albergo, le strade deserte sorvegliate dai tank dell’esercito, i posti di blocco, il silenzio tombale interrotto da raffiche isolate.
11 aprile 2002: cominciò così, per noi cronisti e testimoni, la lunga notte di Hugo Chavez. Il presidente eletto con grande scandalo tre anni prima era rinchiuso nella base militare di Fuerte Tiuna e i golpisti ricevevano le prime credenziali dall’estero. Un colpo di stato di chirurgica precisione, concepito e sostenuto dalle oligarchie economiche, dalle gerarchie ecclesiastiche e dagli alti gradi militari. Infine benedetto dal grande fratello norteamericano.
Ma la storia azzarda spesso ardite capriole, e quello che doveva essere il de profundis per il meticcio di Barinas, soldato di carriera, aspirante golpista e arruffapopoli, si trasformò sotto i nostri occhi nel trionfo di un nuovo caudillo. In tre giorni la situazione si era rovesciata: dopo una tragica sarabanda di scontri e saccheggi, con oltre 200 morti nelle strade, il 14 aprile Chavez tornò a furor di popolo nel palazzo presidenziale di Miraflores, martire e invincibile, come un novello Bolivar.

Cominciò così l’epopea di questo militare che due giorni prima “Repubblica” aveva definito un «dilettante con molta fortuna». Altro che dilettante! Eletto nel ’98, nel 2000, nel 2006 e nel 2012: lo stigma di Hugo Chavez è impresso a fuoco sulla storia recente del Venezuela. Solo la scommessa perduta contro un tumore maligno ha tolto l’ingombro del “presidente a vita” e consegnato lo sventurato Paese ad una pallida ombra: il tremebondo, ingombrante, balbettante, vendicativo Nicolàs Maduro.

Ma questa è angosciosa cronaca di oggi. Nella storia, Hugo Chavez, che ha battezzato il suo Venezuela con il termine bolivariano, dovrà essere piuttosto ricordato per aver plasmato nei fatti e nel tempo una impronta ben più concreta e originale: il chavismo. Mescolanza di populismo, radicalismo, guevarismo, statalismo, socialismo caraibico, autoritarismo, retorica e nazionalismo, questa pozione magica ha incantato per anni il popolo degli slums di Caracas, dei fetidi lazzeretti delle città, delle campagne devastate dalla miseria e dall’abbandono. E incanta ancora – con la camicia rossa, il fazzoletto al collo, le parole d’ordine scoppiettanti come mortaretti e l’argomentazione fluviale – schiere di nostalgici occidentali, da sempre in cerca di nuovi profeti in quella terra mistica, dalla Patagonia alle selve caraibiche.

Chavismo, variante venezuelana del caudillismo. Come, in anni non recenti, il peronismo ne fu la variante argentina. E, dentro il peronismo, le sotto-varianti di destra e di sinistra, che si fecero la guerra, si massacrarono tra loro e poi si arresero esauste al pugno di ferro della dittatura. Addirittura, si arrivò a coniare il termine stronismo, per definire l’impronta di Alfredo Stroessner, il piccolo spietato dittatore che dominò il Paraguay in un interminabile inverno dal 1954 al 1989. E il caudillismo, nella sua variante democratica e parlamentare sbarcò infine nella lontana Europa, quando fu definita felipismo la lunga e illuminata stagione di governo di Felipe Gonzalez, che portò il partito socialista a guidare la Spagna dall’ 82 al ‘96, dopo l’infamia del franchismo.

Ma non si parla di –ismi nella tumultuosa deriva venezuelana di queste settimane. Due milioni e mezzo di cittadini in fuga nella vicina Colombia, la fame nelle case, i negozi vuoti, gli ospedali senza medici né medicine, i morti nelle strade, la hiper-super-mega-inflaciòn, i generali in alta uniforme che giurano fedeltà alla patria bolivariana, manovre militari al posto della zuppa quotidiana. Non più camicie rosse, non più fazzoletti al vento, non più folle oceaniche: Hugo è morto, e il chavismo ha lasciato un campo di macerie.