LA PAROLA

Complottismo

Tutto cominciò al Cremlino, in un fosco pomeriggio del novembre ‘52, quando il vecchio Stalin, indispettito dalla diagnosi severa del suo medico personale  Vladimir Vinogradov, ebbe un terribile attacco d’ira e si mise a gridare: «Arrestatelo, incatenatelo!».

Da questa bizza senile prese le mosse la vicenda passata alla storia come il “complotto dei medici ebrei”: una ondata repressiva  che in poche settimane portò all’arresto di un gruppo di medici del Cremlino e delle loro mogli, accusati di attentare alla vita dei massimi dirigenti sovietici.

Il vecchio Stalin non ne era certo cosciente, ma questo terribile sfogo autunnale  conteneva in nuce il segno di tutto il suo  potere. Del resto i grandi processi del ‘37, che annichilirono una intera generazione di bolscevichi, presero il via dall’assassinio di Kirov, un episodio oscuro sul quale il despota georgiano organizzò una spregiudicata offensiva  di depistaggio e persecuzione.  Qui abbiamo un affascinante intreccio di vere e false narrazioni: per confermarsi nella sua assolutezza, il potere assoluto organizza un vero complotto che denuncia un falso complotto.

Dunque il complotto non è solo un fatto, un episodio, ma anche e soprattutto una affascinante categoria storica e sociologica. Leggiamo: «La teoria del complotto o della cospirazione è una teoria che attribuisce la causa prima di un evento o di una catena di eventi  (in genere politici, sociali o anche naturali) a un complotto».

Questa teoria, per diventare pratica, ha bisogno di due poli: a un’estremità l’individuo o il potere che confeziona la visione, all’altra estremità una moltitudine, o un gruppo, o una comunità disposta a “credere, obbedire e combattere”. Basti pensare al complotto demo-pluto-giudaico, la visione delirante che servì come spauracchio ai nazisti di Hitler per sprofondare il pianeta nella seconda guerra mondiale.

La storia, ahimè, è storia di complotti veri o presunti. Dalle cospirazioni omeriche degli Dei dell’Olimpo che tengono in ostaggio gli eroi davanti alle mura di Troia, ai segreti agguati machiavellici che nel medioevo precipitavano le nobili famiglie europee in orge di sangue e vendetta. E agli albori del Ventesimo secolo fu un complotto infame la messa in scena dei cosiddetti Protocolli dei Savi di Sion: quel documento falso di cui si servì l’Ochrana, la polizia segreta zarista, per diffondere nell’impero russo l’odio contro gli ebrei. Anche qui il sistema è bicefalo: un vero complotto che costruisce a tavolino un documento apocrifo su cui denunciare una falsa cospirazione.

C’è tuttavia un momento in cui ogni episodio si trasforma in costume, ed è quando una narrazione dietro le quinte colpisce l’immaginario collettivo, rende apparentemente chiaro ciò che sembra indecifrabile, e infine suscita sentimenti ostili  contro un nemico comune.

Complottismo: eccoci dunque immersi fino ai ginocchi nella società in cui tutti noi ci troviamo a vivere. Il nostro mondo è complesso, e sarà sempre più complesso. I fenomeni sono intrecciati, le origini molteplici, la matassa dei fatti  – delle cause e degli effetti –  appare sempre più intrigata. In questo groviglio di difficoltà inesplicabili  l’uomo comune deve muoversi ogni santo giorno come Dante nella selva oscura.

Il mondo, il nostro mondo, è certamente più complesso di tutti quelli che lo hanno preceduto. Sui fatti bisognerebbe forse riflettere, affidarsi al dubbio e alla saggezza: sarebbe forse necessaria una dose della  buona vecchia filosofia. Ma questi sono abbagli da illuministi: «Primum vivere, deinde philosophari», come spiegava Hobbes. O, se volete, ecco il dialogo tra Ronzinante e Babieca. Dice Babieca: «Non sei metafisico». Risponde il cavallo di Don Chisciotte: «No, è che non mangio da ieri». Ecco: a noi esercito di Ronzinanti, il complottismo offre una risposta rassicurante, un grimaldello di interpretazione prèt-a-porter.

In questa epoca in cui ci tocca vivere, tra sovranismi e populismi e negazionismi, plebeismi e razzismi, il complottismo risolve alla radice ogni mal di testa esistenziale.  Sei precipitato dalla classe media al margine della povertà? È il complotto delle banche. La disoccupazione aumenta? È la cospirazione dell’Europa. Siamo in recessione economica? È il complotto della burocrazia, dei poteri forti, dell’Euro. I barconi carichi di immigrati urtano la tua sensibilità di indigeno bianco ben nutrito?  C’è un complotto internazionale che organizza l’invasione, deprime il tasso di natalità in patria e mira alla “sostituzione etnica” degli italiani.

In tempi di decrescita felice, il complottismo promette una estinzione felice. Si applica ai grandi temi, ma anche ai piccoli inciampi della vita quotidiana. Pochi giorni fa, in un ospedale dell’ hinterland napoletano, una donna è stata ricoverata in gravi condizioni. La signora è morta, nonostante le cure. Alla notizia del decesso, una massa scatenata di decine di amici, parenti, conoscenti della famiglia ha fatto irruzione nell’ospedale, picchiando  medici e infermieri, distruggendo  attrezzature e suppellettili.  Che dire? Si sono vendicati del complotto che ha ucciso la loro cara.

A proposito di ospedali e medici curanti. Che fine ha fatto poi Vladimir Vinogradov, il medico che Stalin voleva vedere in ceppi?  L’illustre clinico e i suoi colleghi scamparono alla prigione e a un tragico destino grazie alla morte del dittatore, nel marzo del 1953.  Del complotto dei medici ebrei non si parlò più, il professore fu reintegrato nel suo ruolo e morì nel ’64, a ottantadue anni, circondato dall’affetto dei cari e celebrato dai vertici dello Stato sovietico. Vladimir Vinogradov è stato fortunato. Per altri – per milioni di altri – non fu così.