LA PAROLA

Crumiro

Qualcuno probabilmente si chiederà perché mai andare a scomodare una parola ormai desueta come crumiro, con tante nuove parole che necessiterebbero di altrettante spiegazioni. Devo confessare che un motivo c’è, almeno per me, e risale al 1970, quando mi capitò d’incrociare i crumiri. In quei tempi sbarcavo il lunario grazie a “comparsate” teatrali e cinematografiche, in attesa della laurea. Così un giorno mi son trovato sul set del film Metello di Mauro Bolognini, dove ho potuto far conoscenza dei sistemi dei crumiri, se pur cinematografici.

Quello narrato dalla penna di Vasco Pratolini era uno degli interminabili scioperi dei primissimi anni del ventesimo secolo per rivendicare, con la lotta di classe, un salario migliore. Però, dopo quaranta giorni senza paga, un gruppo di sfiduciati finirà per passare dalla parte del padrone. Ecco così all’opera i crumiri, sotto protezione dei gendarmi, per non dover incrociare gli scioperanti, che li avrebbero voluti convincere a più miti consigli, con le buone o con le cattive. Tutto inutile però, visto che, nel caso, era dietro l’angolo la vittoria della battaglia sindacale.

Ma il film più importante, per capire fino in fondo la parola crumiro, è forse un altro: Il Ferroviere di Pietro Germi, del 1956. È la storia di un uomo isolato da tutti, che rifiuta per soldi di partecipare allo sciopero generale e viene bollato come crumiro. Il protagonista è un ferroviere che assiste alla disgregazione della sua famiglia e del suo lavoro. Germi è regista scomodo, sempre travisato dalla critica dell’epoca e, nel caso, soprattutto dalla sinistra. Un film che forse oggi meriterebbe di essere rivisto.

Si riparla di crumiri anche con I compagni di Mario Monicelli, del 1963. Alla fine dell’Ottocento il professor Sinigaglia (Mastroianni) guida uno sciopero di lavoratori tessili torinesi, ma l’arrivo di un gruppo di crumiri, insieme ad altri problemi, farà fallire lo sciopero. In questo caso il sindacato criticò l’approccio della commedia all’italiana sulle prime grandi lotte operaie.

La parola crumiro fa la sua prima comparsa, in sordina, negli anni Ottanta del XIX secolo, ma sarà soltanto agli albori del XX che si presenterà con un’accezione decisamente negativa. Nel frattempo il pasticcere Domenico Rossi, nel 1878, sceglieva il nome per lanciare i suoi tipici biscotti di Moncalvo e Casale Monferrato. Si sarebbero chiamati crumiri, ovviamente con un’accezione positiva. Non a caso la forma curva di quei biscotti richiamava, in tutta evidenza, i baffi reali del re galantuomo, in modo da commemorarne la scomparsa.

Quel che è certo è che entrambi, pasticceri e sindacalisti ante-litteram, più o meno negli stessi anni, optano per lo stesso nome dall’arabo volgare, quello degli abitanti della Crumiria, tribù berbera di predoni tunisini del Khmir. Alla fine dell’Ottocento la notorietà della parola era dovuta alle violenze delle scorrerie tra Tunisia e Algeria, che avrebbero dato alla Francia il pretesto per occupare la Tunisia. I resoconti delle imprese dei crumiri erano così agghiaccianti che la parola krumiri divenne presto in Europa sinonimo di “selvaggio per antonomasia”, dalle scorrerie al banditismo.

Il nome krumiro viene scelto, in sostanza, o confidando nel richiamo commerciale dell’esotismo, oppure costruendo un epiteto ingiurioso sulla falsariga dei francesi. Questa seconda accezione finirà per indicare, con estrema chiarezza, i lavoratori che rifiutano di fare causa comune con gli scioperanti o che accettano di prendere il loro posto.

Di crumiri, sempre più con la “c” e non con la “k”, si parla nel 1901 negli scioperi dei tipografi e in occasione del grande sciopero dei lavoratori del Porto di Marsiglia, in grande maggioranza composto da italiani.

Nello stesso anno, uno sciopero dei carbonai a Genova finisce per sancire il significato di “sabotatore dello sciopero”. In quell’occasione il termine crumiro viene utilizzato in modo tanto massiccio da divenire la parola per designare tutti i non scioperanti.

Oggi, con la lotta di classe, anche la parola crumiro è finita in soffitta, anche se esiste ancora chi sabota lo spirito collettivo, il desiderio di unione, la protesta contro le ingiustizie e passa dall’altra parte per un piatto di lenticchie. Resta soltanto in bella mostra, sulle scatole dei biscotti, negli scaffali dei supermercati.

 

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