LA PAROLA

Demoleso

Demoleso è una parola appena nata. Per la precisione, il 21 marzo e ritengo non sia casuale, anche perché niente lo è. Il correttore automatico se ne è subito accorto restando lui stesso senza parole. Google ha prodotto solo risultati in spagnolo, agendo per somiglianze su parole affini, come sa far bene. Mi è balzata nella mente scrivendo il testo di una canzone che sta per partire in tournée, senza appartenere ad alcun disco. Nemmeno a dire il vero ad una scaletta, perché è una canzone che parla di libertà. Le stava stretto trovarsi sempre al solito posto, in quella fila, dentro un ordine così immutabile, in quel solco tra i solchi delle altre, tracciata. Starà alla sensibilità degli interpreti avvertire l’esigenza di sentirla mentre sale dal pubblico e di intonarla.

Si tratta di una parola composta. Come cerebroleso e audioleso, in cui il suffisso indica che la persona patisce una lesione che determina una minorazione o un difetto fisico; in senso più esteso una carenza più o meno grave in una normale attitudine o funzionalità. Nel linguaggio comune, queste parole possono essere utilizzate in modo offensivo, ma lo sono soprattutto fuori dal vocabolario medico, in senso ironico o di sfottò. Come ad esempio tecnoleso, una persona negata per l’uso di strumenti ad alto contenuto tecnologico, soprattutto se appartenenti al mondo dell’informatica e dell’elettronica digitale. I tecnolesi esistono però da quando esiste la tecnologia. Un tecnoleso ante litteram, ad esempio, era chi già avesse difficoltà con il videoregistratore o con il telecomando della TV e solitamente ne dava la colpa agli strumenti che tentava di far funzionare. Anche il demoleso, spesso, attribuisce ad altri colpe che non hanno e per questo, la parola fa riflettere.

Visto che l’ho coniata io non ho alcun timore di sbagliare nell’affermare che il composto nasce dalla fusione di -leso e democrazia e indica una persona che abbia subito una lesione nell’intimo della natura democratica che con maggiore consapevolezza di sé gli sarebbe propria. Non è qualcuno che nasce antidemocratico, anche se estensivamente la parola può essere utilizzata anche per individuare un tale tipo di soggetto, perché ha indubbiamente un’accezione ottimistica.

Essendo appena nata copre una necessità attuale, ma questo non significa che i demolesi non siano mai esistiti, solo che si chiamavano in altri modi: suprematisti è ancora troppo vago, almeno qui da noi; quindi fascisti o nazisti, secondo tradizione, ma in generale gli integralisti di qualsiasi fatta sono specie del genere. Il demoleso è colui che poteva già essere antidemocratico, ma essendo radicalmente un conformista, lo rimuoveva e, nei casi di maggiore ma utile sofferenza sulla via dell’integrazione nella ricostruenda società democratica, se ne vergognava. Adesso si sta liberando dei suoi freni inibitori soprattutto perché avverte un mutamento nella maggioranza, senza accorgersi che molto è fanfara, ma evidentemente gli bastava un “la”. Tuttavia è recuperabile, basta non demonizzarlo, viceversa si radicalizzerà.

Ma facciamo ordine, perché solitamente questa parola lo esalta. Il demoleso è piuttosto contrariato, per non dire arrabbiato. Fronteggia senza saperlo una condizione di intima frustrazione che non riesce ad affrontare cercando di essere più sincero con se stesso. Vede molto disordine intorno a sé e, volendo (senza riuscirci) farsi lui stesso ordine, se la prende con ciò che ha intorno e che secondo lui provoca disordine: gli altri, sostanzialmente, ma soprattutto quelli che si dimostrano diversi dall’immagine di ciò che deve essere secondo la sua irrigidita struttura di pensiero, che vede qualità positive solo in ciò che gli è, dentro quella struttura, apparentemente uguale e quindi rassicurante. Il demoleso solitamente ha paura e tende ad essere affascinato da chi si propone per  risolvergli il problema delle diversità che lo turbano eliminandole dal suo sguardo, che legittima lo sfogarsi della propria rabbia e della propria frustrazione su soggetti diversi dai reali colpevoli, incluso se stesso. È quindi affascinato da chi gli propone i migliori spauracchi. Perché uno spauracchio sia di ottima qualità deve essere debole, quindi preferibilmente in minoranza. Oppure invisibile e potenziale, ma incombente: il male. Si sa bene che il male è un contenitore, per cui basta buttarci dentro l’ancestrale e l’attuale, agitare sapientemente e il gioco è fatto.

Il mondo è pieno di demolesi. È la consapevolezza che rende un cittadino democratico inattaccabile in questa sua qualità: la capacità di distinguere uno spauracchio dal reale problema sociale, se c’è, e soprattutto quella di riconoscere quanto dello spauracchio si colleghi inconsciamente ad una propria intima paura e sofferenza, al disgusto, a una emozione negativa.Gli spauracchi che vanno per la maggiore sono infatti sempre gli stessi: gli immigrati che portano via il lavoro, gli zingari inafferrabili, gli anarchici, gli infedeli, gli ebrei, gli omosessuali, l’uomo nero. Quindi se c’è qualcuno in grado di parlare ai demolesi di consapevolezza, responsabilità, accoglienza e carità lo faccia, tenendo ben presente in ogni caso il paradosso dell’intolleranza di popperiana memoria. Non si usi però questo termine, se non con cura, perché potrebbe essere preso per offensivo, quando nasce solo con senso democratico e per l’uso ironico e consapevole, magari spiegando che di solito al demoleso che si radicalizza divenendo antidemocratico, spetta prima o poi lo stesso destino dello spauracchio su cui si era accanito. «Oggi a te, domani a me» l’epitaffio sul suo sempre attuale sepolcro. «Non sarò mica demoleso?» la domanda che ci auspichiamo cominci a farsi senza colpevolizzarsene.

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