DAILY LA PAROLA

Disfattista

Disfattismo è l’opera di chi (disfattista)con voci allarmistiche e denigratorie tenta di ostacolare l’azione del governo o delle autorità, la riuscita o il buon andamento di una impresa...

Sabato
Da qualche tempo non dimentico di consultare il mio rating personale sui giornali che contano. Ebbene, proprio oggi ho avuto la cattiva notizia che paventavo da tempo: il mio spread individuale è stato aggiornato: da buonista, e senza nemmeno passare per la casella di malpancista (come segretamente speravo) sono stato degradato a disfattista.

Del resto, lo spiega bene “Il Fatto quotidiano”: ora che siamo in guerra, ora che le nostre cannoniere, i nostri elicotteri, i nostri sommergibili solcano il mare alla ricerca di terroristi dediti alla sostituzione etnica, non è più tempo di inutili bamboleggiamenti semantici: pane al pane, disfattista a disfattista.
Gli effetti di questo declassamento si sono subito fatti sentire. Ieri il mio macellaio di fiducia – un aborigeno padano dai modi spicci- ha fatto finta di non vedermi e si è rifiutato di servirmi la solita fettina di vitellone. Mentre battevo in ritirata, l’ho sentito mormorare: «Altro che vitellone! Vada a magnà il kebab dai suoi amici turchi».
Peggio è andata con la sora Rosa, che da trent’anni mi aggiusta giacche e pantaloni. La vecchia sarta mi ha preso di punta di fronte a tutti: «signor mio, io sono buona e cara. Ho fatto finta di niente quando era buonista, ma disfattista è davvero troppo. Da qui in avanti i bottoni se li faccia attaccare alla moschea».

Travolto dalla vergogna, ecco come sono. Da giorni questa parola – disfattista – mi risuona nella testa come una campana a morto. Nella speranza di qualche via di uscita almeno semantica, ho voluto cercare nel dizionario, ma quello che ho trovato mi ha addirittura gelato il sangue.

Ecco qui: «disfattismo è l’opera di chi con voci allarmistiche e denigratorie tenta di ostacolare l’azione del governo o delle autorità, la riuscita o il buon andamento di una impresa…». Ancora peggio: «in tempo di guerra è l’attività di chi con vari mezzi si adopera per la disfatta del proprio paese, anche col diffondere sfiducia e pessimismo sulle possibilità di vittoria». Tutto, tutto questo mi può essere addebitato. Non ho forse parlato con eccessiva disinvoltura delle ricette che dovranno portare il Paese a un nuovo miracolo economico? Non ho forse scosso la testa di fronte ai festeggiamenti per l’abolizione della povertà? E quando ho pubblicamente dichiarato che preferivo le “capitane” ai “capitani” (giuro, era uno scherzo!) lo sapevo, lo sapevo che mi sarebbe costato il passaggio sic et simpliciter dalla categoria di buonista a quella di disfattista.

Dunque eccomi pronto al sacrificio. Del resto, se mi soffermo sulla sorte di altri famosi disfattisti della storia, c’è poco da stare allegri. Lo scrittore russo Danijl Kharms, accusato di disfattismo e imprigionato durante l’assedio di Leningrado, morì di fame nella sua cella. Nella Germania nazista, Elizabeth von Thadden, una dolce signora che non amava Hitler, venne condannata a morte e impiccata per disfattismo e tentato tradimento. Mi fermo qui, perché mi tremano i polsi.

Domenica
Non ho attenuanti, non ho scuse da invocare. È vero che qualche giorno fa ho messo “mi piace” sotto il video che mostra il mancamento di Angela Merkel, lo svenimento e il tremore della cancelliera crucca. Ma che volete che sia un semplice like! Dovevo scrivere “culona”, ecco cosa dovevo fare! Mi dico che non tutto è perduto. Che il mio rating resta ancora nel range dei suffissi in -ista. Mia moglie, dio la benedica, mi rassicura. I guai tosti arrivano quando gli analisti recentemente assunti come navigators individuano uno spread personale nel campo davvero pericoloso dei suffissi in –ore. Non riesco nemmeno a pronunciarli, questi gradini dell’inferno: sabotatore, disertore, delatore, traditore. Per quanto mi riguarda, ho deciso fermamente di attestarmi sul bagnasciuga del disfattista, e magari risalire la china. Per questo, da domani, indosserò una maglietta con lo slogan «prima gli italiani», intanto per vedere l’effetto che fa sul macellaio e sulla sarta.

Lunedì
Sono rovinato! Tutto è perduto! Qualcuno che mi vuol male ha pubblicato sul mio profilo fb la canzone Il disertore di Boris Vian. Proprio lì, dio ne scampi, dove scrive: «a tutti griderò di non partire più /e di non obbedire/ per andare a morire /per non importa chi./Per cui se servirà/ del sangue ad ogni costo/ andate a dare il vostro/ se vi divertirà». Denunciali! dice mia moglie. Ma chi devo denunciare? Questa maledetta canzone l’ho pubblicata proprio io qualche anno fa, quando mi baloccavo con l’idea di essere un giovane rivoluzionario, pronto a combattere per la gente contro i poteri forti.

Disgraziato, mi sono rovinato con le mie mani. Ecco appunto: sfoglio “Il Fatto quotidiano” e leggo che il mio spread personale è schizzato nel campo pericolosissimo della rima in –ore. Disertore, c’è scritto, papale papale. A loro non la si fa, siamo perduti. Mia moglie si torce le mani, i figli piangono nella culla, il cane abbaia. Sento già gli scarponi chiodati dei navigators rimbombare nella tromba delle scale. È la fine. Adieu, adieu, remember me!

(sipario)