LA PAROLA

Disgusto

Chi l’avrebbe mai detto che l’ancestrale meccanismo delle cellule procariote che motivavano un approccio verso le sostanze nutritive ed evitavano le sostanze tossiche sarebbe sfociato, dopo tre miliardi di anni di evoluzione biologica, in una emozione fondamentale del genere umano?

Da un riflesso così primitivo e basilare per lo sviluppo cellulare, l’energia evolutiva, in un batter di ciglia (tre miliardi di anni possono essere tantissimi ma anche un attimo, come insegna Einstein) ha sviluppato non solo il genere umano così come oggi lo vediamo e lo viviamo in prima persona, ma anche ha creato, per ogni uomo, un “campo emozionale energetico” che contiene, gestisce e alimenta tutte le nostre emozioni fondamentali.

Il disgusto è una di queste emozioni fondamentali. La sua reazione emotiva è basata sulla salvaguardia di una operazione fondamentale per la vita: il nutrimento.

Il disgusto è, nella sua essenza, legato perciò alla vita fisiologica di ogni individuo e, in questa prospettiva, ancor oggi viene definito come «una emozione di repulsione alla prospettiva di una incorporazione orale di una sostanza dannosa o offensiva» (Rozin e Fallon, 1987).

È una reazione emotiva molto complessa caratterizzata da reazioni fisiologiche quali nausea, ribrezzo e voglia di allontanare l’oggetto, per il quale si provano queste sensazioni, dal proprio campo percettivo. Da notare che, etimologicamente, il prefisso verbale dis, di origine latina, indica esattamente separazione.

Appunto: allontanare l’oggetto, separarsi da esso.

Per estensione è interessante cogliere questo aspetto di allontanamento, che poi diviene repulsione. Corre subito il pensiero al suo opposto, l’amore.

«Non mi lasciare mai… tienimi stretto stretto… di più, sempre di più… per sempre!», sussurra l’amato all’amata perdendo il confine del suo corpo, del suo sé nel desiderio di sprofondare nel corpo-spazio dell’altro in un congiungimento simbiotico… mentre la temperatura emozionale raggiunge livelli da brivido… (anche per la fusione termonucleare occorrono temperature altissime!).

«Vattene da me! Via lontano, non ti voglio più vedere, non ti avvicinare, mi fai schifo!», grida un amante all’amato disgustato da un evento o da un comportamento per lui “indigeribile”…

Il disgusto rimane, nella sua primitiva reazione meccanicistica, una emozione arcaica legata all’aspetto più viscerale: dagli umori della sessualità alle varie deiezioni umane, c’è una corposità maleodorante che genera un riflesso immediato da parte dell’uomo che reagisce con schifo allontanando da sè l’oggetto stesso.

È importante notare che questa reazione di rigetto è il fondamento della salute e dell’identità del genere umano.

Un aspetto particolare da mettere in risalto è il rapporto fra il disgusto e la dignità della persona. Il contatto fra l’essere umano con una sostanza o un evento disgustoso mina irrimediabilmente la dignità dell’essere: «Le prove di questa affermazione le possiamo trovare nei resoconti dei sopravvissuti ai campi di concentramento (DesPres 1976, A. Levi 1967) che in maniera chiara, ancorché drammatica, mostrano che cosa accade se la difesa del sé corporeo crolla… la mancanza dei servizi igienici, spesso dell’acqua, rendeva impossibile il lavarsi e mantenersi puliti con il risultato che i prigionieri tendevano a percepirsi come animali e anche le guardie i compagni li consideravano allo stesso modo… chi cessava di difendere la propria dignità dall’assalto dello sporco aveva una prognosi sfavorevole: presto sarebbe morto o sarebbe stato ucciso» (F. Mancini, A. Gragnani, Disgusto, contagio, contaminazione – Tesi di Laurea).

Proprio in questa prospettiva, il disgusto è al centro delle discriminazioni verso gruppi socio-culturali palesemente diversi: gli zingari, i poveri, le schiere di immigrati multicolori che popolano le nostre città, sono spesso al centro di questa reazione di disprezzo da parte degli altri gruppi umani che, evidentemente, hanno paura di identificarsi o essere identificati con questi gruppi di diversi che vivono e si muovono con modalità ritenute generatrici di possibili contaminazioni soprattutto igieniche-sanitarie. È dunque un aspetto di viscerale animalità che spaventa e allontana l’uomo dall’uomo, gruppi dai gruppi, comunità dalle altre comunità. La spiegazione di questo fatto è secondo alcuni (Ortner 1973, Tambiah 1969) da ricercare nel desiderio di accentuare il confine uomo-animale e di ribadire la propria appartenenza al genere umano e non a quello bestiale. Creare una distanza fisica e psicologica diventa, in questa prospettiva, fondamentale: ne consegue che possiamo ipotizzare che la reazione emotiva del disgusto potrebbe rappresentare uno dei cardini che fondano un fenomeno universale che oggi le nostre società vivono in pieno: il razzismo.

Pare evidente che la presunta superiorità di una razza sull’altra fondi la sue pretese su un giudizio di merito basato su molti fattori. Potrebbe essere una valutazione di repulsione verso un colore della pelle particolarmente sgradito (nero, giallo ecc.) o una corporalità estetica lontana dal gruppo di riferimento come uomini piccoli, tozzi, quasi animaleschi oppure che praticano riti che sembrano strani o inquietanti oppure che suggeriscono un quadro poco edificante della compagine umana, per usi tribali cruenti… o per usi alimentari considerati con disprezzo (per esempio, mangiare le cavallette).

In tutti i periodi della storia ci sono stati gruppi umani particolarmente perseguitati in quanto disgustosi: dagli ebrei agli omosessuali, dagli intoccabili ai ceti particolarmente poveri fino alle donne considerate streghe in quanto ritenute legate a una carnalità diabolica. Da quanto sopra, si può evidenziare come il disgusto sia un potente mezzo di trasmissione di valori culturali, non solo in relazione ai cibi più o meno accettabili, ma soprattutto rispetto ai valori morali che fondano le basi di una comunità di persone.

Per finire queste brevi note, una interessante citazione tratta da “Wikiquote”: «La gente crede sempre che il sentimento più pericoloso sia la rabbia, invece è il disgusto il linguaggio dell’odio».