DIALOGARE IN PACE VISIONI

È la rete, bellezza! W la rete

L’immenso agorà di Internet è in realtà una somma di solitudini e il nostro computer una finestra sul cortile dalla quale gettiamo le nostre ansie, i nostri rancori, le nostre insicurezze, i nostri giudizi perentori, attenti a cancellare la nostra identità, l’unica che darebbe senso a quelle cataste immateriali.

Un ventennio fa, per ragioni professionali, mi trovai a fare i conti con le prime consultazioni online e rimasi stupito da tanta ignorante baldanza. Nonostante la materia suggerisse altro, domande e risposte su quesiti di carattere finanziario e tributario, era devastante il mare di atroci imbecillità dalle quali si era travolti. Tanto da suggerire filtri, comunque insufficienti a porre argine.

Nel tempo ho recuperato un approccio meno scioccamente conflittuale con un mezzo straordinario che è comunque parte imprescindibile delle nostre relazioni.

Tuttavia un problema si pone con sempre maggiore urgenza e che riassumo nel concetto di responsabilità. È sulla base di questo principio etico che sono nate e si sono sviluppate le grandi democrazie, che hanno trasformato gli individui in cittadini, in membri della polis. Tra le parole che dal principio del terzo Millennio paiono aver subito un fatale declino, un posto di diritto spetta proprio a questo sostantivo, responsabilità, così spiegato dai dizionari della nostra amata lingua: «Consapevolezza delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano».

Una definizione che da sola suggerisce i motivi di un progressivo oblio in una società sempre più incline a demandare tale principio a un’autorità superiore che ci assolve da ogni vincolo morale e giuridico: «L’ho letto su Internet, l’ho visto su Internet» si ripete spesso, anonimo o irrilevante l’autore. È così che se la legge scritta fatica a trovare udienza, quella morale insita nel concetto di responsabilità è nulla più che un flatus voci.

Nei celeberrimi dipinti di Pieter Bruegel, gli uomini impegnati nell’edificazione della Torre di Babele appaiono minuscoli, inadeguati al superbo e ambizioso compito di creare un unico luogo dove un solo popolo parlasse una sola lingua.

Tale a volte mi appare la “selva oscura” del mondo web, con quel vociare confuso, con quella miriade di parole che mi circondano, mi avvolgono e spesso mi danno un senso d’angoscia.

Sarà, mi giustifico, che il mezzo del cammin della mia vita, anche a peccare d’ottimismo, l’ho superato da un pezzo; sarà, aggiungo, che quando ho iniziato il mestiere di giornalista c’erano macchine calde che fondevano metallo e noi giovani d’allora scrivevamo su ferrivecchi dai tasti lontani e spesso il dito precipitava tra una lettera e l’altra; sarà, ancora, che quel turbinio di “mi piace” mi pare una bolla d’insensatezza e mi provoca un’istintiva reazione allergica.

Allora che fare? Restare chiusi nel recinto della propria paura? La soluzione è davvero non concedersi mai? Sto per rispondermi, sì, non c’è dubbio, quando mi vien da pensare che il mondo non è né bello né brutto, solo non è fatto a nostra immagine e somiglianza. È il game bellezza mia, mi risponderebbe Alessandro Baricco, e non puoi farci niente. Anche se continuo a pensare che le élite, le caste, non siano solo un privilegio dell’uomo analogico, ma uno dei substrati dell’umana natura.

In una bella intervista al “Corriere”, Renzo Piano sostiene che non serve aver paura del futuro perché è l’unico posto dove possiamo andare. Condivido, con responsabile paura.

È così che per sfuggire ai fantasmi, mi ritrovo a sfogliare le pagine di TESSERE. Leggo racconti, storie, parole di chi vuole costruire non già superbe torri, ma luoghi d’incontro, in nome dei principio del dialogo, della voglia di condividere i propri pensieri. Avverto un benessere digitale, che mi piaccia o no.

Allora mi chiedo come possa mettere d’accordo il primo io, quello della paura del nuovo universo della comunicazione, con il secondo che in un’oasi dell’universo della comunicazione trova conforto.

Non c’è spiegazione. Capire che non c’è nulla da capire, cantava il grande Gaber. Che aggiungeva: non è forse capire? Meglio: capire che l’universo web sarà come noi vogliamo che sia, come noi saremo capaci di modellarlo. Perciò è un’impresa senza età e senza tempo, come insegnano queste belle pagine. Che coinvolgono tutti. Anche chi da tempo ha superato il mezzo del cammin di vita sua.