LA PAROLA

Eco

Eco, insidiosa parolina che alle scuole elementari ti insegnano ad apostrofare in quanto sostantivo femminile ma la cui spiegazione della declinazione in -o la si realizza solo qualche tempo dopo quando, approcciando alla mitologia classica, si apprende che il noto fenomeno acustico  deve il suo nome ad una tale Echo, bellissima oreade, ovvero una ninfa dei monti.

Gli antichi greci, creatori di narrazioni favolose capaci di dare un’origine mitica a ciascun evento naturale, immaginarono che quella  risonanza tipica che si viene naturalmente a creare gridando, tipicamente verso una montagna, dipendesse dalla sorte nefasta capitata alla sventurata ninfa a seguito di una vendetta divina.

Pare che costei, infatti, avesse una voce soave, capace di dare sollievo al cuore di chiunque la ascoltasse parlare. Per questa sua particolare dote – racconta Ovidio – Zeus se ne servì per distrarre la moglie durante una delle sue innumerevoli scappatelle extraconiugali. Scoperto l’inganno, la vendicativa Hera punisce severamente la poverina condannandola a non poter parlare se prima non interrogata, e a non poter rispondere se non ripetendo le ultime sillabe della domanda che le veniva posta.

A questo punto la si può immaginare, la povera Eco. Impossibilitata a non poter più chiacchierare con le altre ninfe si ritira nei boschi più bui e solitari ove non passa anima viva. Un giorno però, il suo destino si intreccia con quello di un altro giovinetto, di mirabile bellezza ma assai scontroso e solitario. L’Oreade se ne innamora perdutamente ma non può comunicare con lui. Il giovane, dal suo canto, infastidito dalla sua presenza, la evitae la sfugge. Eco, disperata per questo amore non corrisposto, si strugge di dolore fino a che la sua pelle si stacca dalle ossa e queste si tramutano in pietra e di lei non rimane che la voce, capace ancora oggi di far risuonare le ultime sillabe delle parole di coloro che la interrogano.

Il mito si sa, spesso assume forme o declinazioni diverse. E difatti, recuperando una variante alessandrina sul tema, Poliziano, sul finire del Quattrocento, compone una particolare poesia basata sulla riproduzione, attraverso l’espediente tecnico della rima, di un fenomeno di eco. In questo caso l’innamorato non corrisposto è il satiro Pan:

Che fai tu, Eco, mentr’io ti chiamo? – Amo.
Ami tu dua o pur un solo? – Un solo.
Et io te sola e non altri amo – Altri amo.
Dunque non ami tu un solo? – Un solo.
Questo è un dirmi: Io non t’amo – Io non t’amo.
Quel che tu ami ami tu solo? – Solo.
Chi t’ha levata dal mio amore? – Amore.
Che fa quello a chi porti amore? – Ah more!

Nel componimento – del genere, non a caso, definito “ecoico” – il poeta gioca con le ultime parole del verso, ripetute al fine di dare una risposta alla domanda contenuta nel verso stesso. Alle domande di Pan le risposte di Eco non possono che accrescere le ansie dell’innamorato insofferente, ansie che si concretizzano nell’ultimo verso dove il suono dell’ultima parola ripetuta viene ad assumere un significato diverso dall’originale, ovvero “ahimé muore!”, riferito a Narciso morto affogato nel tentativo di avvicinarsi alla sua immagine riflessa nell’acqua.

A questo punto facciamo un passo indietro. Narciso, colpevole di aver fatto soffrire con la sua indifferenza la ninfa, nonché di essersi mostrato del tutto insensibile alla legge dell’amore viene a sua volta punito dagli dei. Un giorno, mentre è seduto sull’orlo di una fontana, la cui acqua è così nitida da riflettere la sua immagine come uno specchio, ignaro del sentimento d’amore, brama a tal punto quella visione che, per poterla afferrare, si lascia cadere nella fontana annegando. Da questo racconto mitico, è noto, prede origine l’ampio concetto di “narcisismo”.

I due racconti, intrecciandosi, offrono una interessante lettura in chiave psicologica del mito che qui ci si limita ad accennare sotto forma di “pillola”, lasciando a chi è del mestiere ulteriori approfondimenti. Se Narciso incarna l’identità assoluta, amando solo se stesso e tagliando fuori dal proprio campo affettivo ed emotivo chiunque gli si avvicini, Eco – al contrario – rappresenta l’alterità assoluta che vive solo in funzione dell’altro lasciandosi morire se non corrisposta.

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