La parola evoluzione deriva dal latino ed il significato originario si riferiva allo “svolgimento” della carta effettuato durante l’apertura di un rotolo di papiro, formato poi estintosi in favore del “Folio” che usiamo ancora oggi, ovvero il modello del libro rilegato; il termine ebbe una resurrezione tra Seicento e Settecento nella letteratura naturalistica, stavolta nell’ambito nascente, assieme alle altre proto-scienze anatomiche e biologiche, dell’embriologia, impiegato per indicare il processo di trasformazione e crescita dell’ovulo all’interno dell’uovo o del ventre.
I “naturalisti”, così vennero chiamati i filosofi (quasi sempre ecclesiastici o aristocratici, altrettanto spesso borghesi) che per primi si ingegnarono a tagliuzzare salme ed animali morti, si accorsero che tra un pulcino, una nutria e un feto abortito c’erano delle grosse somiglianze; come poteva essere per animali così diversi in capacità fisiche e mentali? Queste somiglianze aiutarono la diffusione delle teorie moderne che riprendevano la Scala naturae di derivazione aristotelica, ovvero la gerarchia degli esseri terreni, celesti e dei corpi immoti, per convertirla in una gerarchia degli essere viventi adatta al mondo illuminista; l’uomo era sempre in cima nel mondo fisico, e sotto si svelavano i vari gradini, dai primati scendendo agli animali superiori, poi alle creature piccole e striscianti, poi sotto alle piante, e infine ai corpi microscopici.
Così il termine evoluzione divenne sinonimo di “gerarchia”, quando le prime teorie sul cambiamento progressivo delle specie e delle popolazioni erano ancora imprecise, inevitabilmente legate al punto di vista degli esponenti illustri, ma non veramente “scienziati” come intendiamo noi, quali Lamarck e Buffon; fu Charles Darwin a delineare l’evoluzionismo contemporaneo, introducendo le teorie sulla Selezione naturale e poi sulla Selezione sessuale; fornì un modello convincente su come determinate caratteristiche potessero avere successo o no nella diffusione in larghe popolazioni, definendo quindi il loro sviluppo futuro e la mutazione di razze e speci.
La versione definitiva della teoria evoluzionistica che consideriamo ancora oggi come valore scientifico assodato fu definita, a partire delle idee darwiniane, negli anni Trenta e Quaranta, in collegamento con la nascita di un’altra importante branca della biologia, la genetica; ora che era possibile capire nell’essenziale come le cellule di un organismo registravano e codificavano il patrimonio genetico degli individui, era possibile tappare i buchi maggiori della teoria dell’evoluzione sul quale Darwin stesso, uomo estremamente prudente ed onesto, aveva ammesso la sua ignoranza.
Oggi quando sentiamo la parola evoluzione ci vengono in mente ancora quei disegnini tanto carini che si vedono nei libri per bambini e nei musei spesso sfitti, che rappresentano sempre una confusa processione che va dai protozoi, fino a un guazzabuglio di frutti di mare e molluschi, poi in confusi pesci ed anfibi corazzati, dinosauri molesti, mammiferi guardinghi e poi tutta la linea dei primati; ancora l’idea che ci domina dell’evoluzione è quella “teleologica”, della visione che ci vuole culmine di un faticoso percorso; in questa stessa visione persiste l’idea gerarchica della Scala naturae, per cui ci possiamo permettere di guardare dall’alto in basso i vermi e le serpi sul terreno, di schiacciarle, e di deridere il bestiame e gli abitanti del bosco.
Ci siamo scordati che, prima della colonizzazione della mezza luna fertile e delle prime rivoluzioni agricole, la nostra razza rischiò più volte di estinguersi, abbarbicata in oscure e fredde caverne, per la scarsità demografica, mentre i nostri cugini scimpanzé si radicavano sicuri nelle fronde delle fitte foreste africane; al giorno d’oggi, le nostre inquietudini pelose sul futuro dell’ambiente nascondono, sotto l’autoflagellazione apologetica verso la “Madre (Matrigna) Terra”, la segreta paura che l’ambiente in rapida “evoluzione”(sic) a causa del nostro stesso intervento possa divenire invivibile in primis per noi; nel giro di pochi millenni, gli ultimi superstiti degenerati della nostra specie creperanno malamente in un clima ostile, impossibilitati a rinnovare i cicli delle materie prime e quindi destinati a crepare nudi ed affamati; l’atmosfera terrestre diverrà di nuovo soffocante, tropicale ed oscura, e in questo ambiente, mammiferi deformi, insetti giganteschi e rettili mostruosi torneranno a calcare il suolo del Pianeta.
Curioso come oggi tra i bambini ed i giovani vadano ancora di moda dopo vent’anni grotteschi pupazzetti che in virtù di una “evoluzione” vagamente lamarckiana, che è più simile ad una transvalutazione nicciana (cammello in leone ed infine in oltreuomo, che splendido videogioco giapponese!) o al ciclo vitale di un insetto, si trasformano nel tempo con l’esperienza che traggono da furiosi combattimenti nello stile dei galli e dei cani inferociti; non riesco a smettere di pensare a come questi mostri, Pokemon e gentaglia varia, rimandino tanto a quelle mostruosità organiche sopradette che hanno dominato il pianeta per ere lunghissime, molto più lunghe della timida parentesi “Homo”, e torneranno a farlo quando noi saremo divenuti polvere, oppure una irriconoscibile discendenza nascosta in anfratti e grotte come all’inizio del nostro ciclo, probabilmente destinati a scomparire dall’albero filogenetico…