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Fanfani, Andreotti e il “segreto” dei missili Jupiters in Puglia

Foto: dabitonto.com

Il presidente Donald Trump ha deciso di sollevare un polverone (utile anche per altri scopi), annunciando l’uscita degli Stati Uniti dal Trattato sulle armi nucleari, siglato a Washington l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv. Il trattato INF (Intermediate range nuclear forces treaty) pose fine alla vicenda degli euromissili: erano i missili nucleari a raggio intermedio installati da Usa e Urss sul territorio europeo. Nel maggio 1991 si avviò l’eliminazione di quasi 2700 vettori, contribuendo a rendere meno ansiogeno l’incubo atomico. Ovviamente il nemico/amico Vladimir Putin, eterno leader russo, ha colto la palla al balzo per far sapere che il suo Paese farà altrettanto. A di là degli delle conseguenze che questa decisione potrà avere sul nostro futuro, la vicenda offre l’occasione per riportare alla memoria qualcosa che pochi ricordano e ancor meno sanno.

Il Governo italiano, 58 anni fa, scelse di mantenere un terribile segreto, quello sui cinquanta megatoni ospitati in Puglia. La prova? «It clearly makes no sense to continue to classify the existence of the Jupiters and their locations, but the Italian Government seem to want it that way for political reasons». Lo scrisse il 18 settembre 1961 Alan G. James, funzionario dell’Ufficio per gli Affari europei del Dipartimento di Stato Usa, in un rapporto inedito fino al 2004. Traduzione: «Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l’esistenza degli Jupiter e il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici».

Cinquanta megatoni sono, nelle scala della guerra nucleare, equivalenti a 50 milioni di tonnellate di tritolo; e alla potenza di 3.500 bombe atomiche uguali a quella che nel 1945 distrusse Hiroshima, in Giappone, uccidendo 127 mila persone. Quei megatoni, all’inizio degli anni Sessanta, costituivano la potenza dei trenta missili statunitensi Jupiter dislocati in Puglia. Pronti a essere lanciati verso l’Urss e i Paesi del blocco sovietico da dieci siti, nel raggio di 45 chilometri dall’aeroporto militare di Gioia del Colle, nel Barese.

Quel rapporto, custodito dagli archivi statunitensi del NSA (National Security Archive) e desecretato soltanto 15 anni fa, racconta la storia dei missili allineati da nord-ovest a sud-est, tra Spinazzola, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Altamura, Irsina, Matera, Laterza, Mottola. Circostanza di cui negli anni successivi si era a conoscenza ufficiosamente, ma sempre coperta dal segreto di Stato e con contorni poco nitidi.

Nel 1999, sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”, ne scrisse Giorgio Nebbia, professore emerito di Merceologia a Bari e padre dell’ecologismo italiano: «La storia è stata raccontata con grandi dettagli, ricavati dai documenti segreti militari, resi accessibili grazie a una speciale legge americana sulla “Libertà di accesso alle informazioni”». Una quindicina di anni fa era tornato sull’argomento il professor Nicola Pedde, direttore di “Global Research”: «Dall’archivio Usa esce un interessante documento storico nel quale per la prima volta si parla, e si descrive nel dettaglio, della gestione dei missili Jupiter dislocati in Puglia».

Siamo riusciti a ritrovare le copie fotostatiche del documento partendo da una traccia lasciata nel sito di Peacelink, in una nota all’articolo di Nebbia; siamo quindi risaliti al sito Nuclear History at the National Security Archive della George Washington University. Il rapporto di James (intitolato Note del mio viaggio presso i siti italiani degli Jupiter) spiega tutto nei dettagli, compresa la contrarietà del terzo Governo Fanfani, con ministro della Difesa Giulio Andreotti, a divulgare il segreto.

Era il 1960 quando i missili iniziarono a giungere in Puglia, dagli Stati Uniti, nella distrazione generale. La storia, raccontava Nebbia, «era cominciata nel settembre 1958, quando gli americani, allora era presidente Eisenhower, insistettero presso il governo italiano perché accettasse testate nucleari in grado di colpire l’Urss e Paesi satelliti come Albania, Romania, Bulgaria». I militari americani, spiegava, «erano meno di quattrocento». Poi, all’inizio del 1961, a Eisenhower successe Kennedy, con una politica di distensione nei confronti dei sovietici. Finché nell’ottobre del 1962 gli americani scoprirono che una nave russa stava portando missili nucleari a Cuba. Nebbia: «Kennedy minacciò la guerra contro l’Urss. Ci furono frenetici contatti fra Kennedy e Krusciov. Intervenne anche Papa Giovanni XXIII: alla fine i missili sovietici tornarono indietro e l’America si impegnò a ritirare gli Jupiter da Puglia e Turchia». «Curiosamente – ha aggiunto il professor Pedde – l’aver mantenuto i missili costantemente armati e averne condiviso le procedure di lancio con gli italiani, costituiva una violazione dell’Atomic Energy Act, così come esplicitamente ricordato dallo stesso autore del documento recentemente declassificato».

Nel rapporto, James riferiva dunque la storia del modo in cui furono piazzati gli Jupiter IRBM presso la 36˚ Aerobrigata d’interdizione strategica. L’addestramento degli italiani fu svolto nella base Usa di Lackland. I missili furono portati in Puglia con dieci voli dagli Stati Uniti, tra l’1 aprile e il 10 giugno 1960. «Gioia – scrisse il funzionario – è il centro di controllo. A Gioia c’è un precedente piccolo aeroporto Nato, comandato da un brigadiere generale italiano e da un colonnello dell’Us Air Force». Raccontò che il personale americano era di stanza per lo più a Taranto, a «50 minuti d’auto da Gioia». In caso di emergenza, i militari Usa avevano a disposizione alloggi nella base.

I missili erano in dieci siti che ospitavano, ciascuno, tre ordigni: «Alcuni sulle colline, altri nei campi deserti, uno molto vicino alla linea ferroviaria e visibile dalla strada». Poi: «I carabinieri perlustrano sporadicamente i boschi e i campi intorno alla basi, ma di solito non c’è perlustrazione fuori dalla doppia recinzione». Ancora: «Nessun testata nucleare è attualmente immagazzinata a Gioia; sono tutte sui trenta missili». A Gioia, James vide «la costruzione destinata a custodire le testate»: «una struttura in cemento armato quadrata, situata a non più di cento yarde (90 metri, ndr) dalla pista di atterraggio… Penso che per sicurezza potrebbe essere posta più lontano dalla pista».

Ogni installazione era custodita da due ufficiali americani e da due aviatori italiani. Con turni di 48 ore. Per il funzionario, i turni degli italiani non erano gestiti in maniera efficiente. Comunque, sosteneva, «tutte le posizioni possono ricevere simultaneamente le istruzioni». James descriveva la procedura di lancio, delegata a due ufficiali, uno italiano e uno americano, attraverso chiavi separate. «Ma, per il supporto tecnico, gli italiani sono pesantemente dipendenti da noi», faceva notare. Insomma, non erano in grado di lanciare i missili autonomamente. Anche se i nostri ufficiali erano considerati competenti sul piano teorico, «alcuni a livello di quelli americani».

James era però preoccupato per quel sarebbe potuto succedere in caso di situazioni d’emergenza o di un incidente; anche perché la gente comune ufficialmente non doveva sapere nulla dei missili, a causa delle scelte del Governo italiano. «Naturalmente è una situazione anomala, perché gli italiani sanno chiaramente che ci sono: emerge quando i mezzi si muovono, in occasione di imprevisti e durante le esercitazioni per prevenire incidenti nucleari». E c’erano rischi: «Sebbene la custodia da parte italiana sia ben effettuata», i missili «rimangono vulnerabili al sabotaggio». James ipotizzava una più intensa vigilanza da parte dei carabinieri nelle zone adiacenti: «Un sabotatore potrebbe colpire i missili anche con un colpo di fucile… Un piccolo aereo veloce potrebbe penetrare e colpirne uno o due. E nelle vicinanze non c’è alcuna difesa antiaerea. Non ho idea di quali siano le probabilità che questo possa accadere», scrisse il funzionario. Con un finale agghiacciante: «Riassumendo, i nostri soldati e gli italiani stanno correndo dei rischi, visto dove sono poste le basi; ma è un rischio calcolato e non può essere così serio da mettere in discussione l’essenziale utilità degli Jupiter». Firmato: Alan G. James (segret).

Per fortuna, finita la crisi con l’Urss, nel giro di poco tempo i poligoni pugliesi furono smantellati. Alla fine di giugno 1963 non rimasero che i ruderi. Restò pure, nella coscienza di tanti che conoscevano il segreto (italiani e americani), la consapevolezza del rischio terribile rappresentato dagli apocalittici ordigni “ospitati” in Puglia.