LA PAROLA

Fantozzi

«Fantòzzi  uso antonomastico del cognome del ragionier Ugo Fantozzi, personaggio comico cinematografico creato e impersonato dall’attore Paolo Villaggio. Uomo incapace, goffo e servile, che subisce continui fallimenti e umiliazioni, portato a fare gaffes e a sottomettersi ai potenti: oggi mi sento proprio un fantozzi.; i fantozzi della politica». Così il vocabolario Treccani definisce il sostantivo fantozzi, da cui deriva il deonomastico fantozziano, anche in questo caso entrato di diritto nell’uso comune e nel vocabolario.
Dal 1975, anno di uscita del primo, memorabile, film della saga del ragioniere più sfigato d’Italia, il nome e il conseguente aggettivo sono diventati moda e vengono regolarmente utilizzati per descrivere situazioni limite, in cui il protagonista è ineluttabilmente vessato dalla malasorte o da un concorso bizzarro di eventi che sfociano nel surreale.
Parlarne oggi a poche ore dalla morte di Paolo Villaggio, attore poliedrico e di talento, ma come il ragionier Ugo vittima del personaggio cui ha prestato voce e volto e che lo ha ripagato con imperitura celebrità, è necessario.
Villaggio è stato molto altro. Ha lavorato con Monicelli, Fellini, Marco Ferreri, Lina Wertmüller, Pupi Avati, Nanni Loy, Luciano Salce, dal sodalizio con il quale è nato Fantozzi. Cabarettista, caratterista, attore di teatro, grande amico del conterraneo Fabrizio De Andrè, insignito nel 1992 del Leone d’oro alla carriera, merita di essere ricordato anche per il personaggio paradossale e grottesco del professor Otto von Kranz alla trasmissione Quelli della domenica, che usava minacciare il pubblico dicendo «o stai zitto o esci….capito…selii!!».
Fantozzi, che Villaggio stesso definì «il prototipo del tapino, ovvero la quintessenza della nullità», è diventato un nome comune e ha dato origine a un aggettivo proprio perché impersonava la quintessenza dell’italiano medio degli anni 70: lavoro fisso, senza laurea, poche aspirazioni, famiglia monoreddito, il mutuo, la casa un pochino più che popolare, l’utilitaria – la celeberima Bianchina – simbolo di un moderato benessere, una vita mediocre in cui «voglio ma non posso» sembra essere la parola d’ordine. Incapace di reagire agli eventi e di controvertere il destino che gli si accanisce contro, si caccia volontariamente nei guai subendo passivamente la volontà degli altri, frequentando i colleghi anche nel tempo libero. Una maschera di servilismo che risulta comica solo per le impareggiabili gag, il Lei di circostanza con il compagno di sventure Filini, con la seduttrice signorina Silvani e con l’arrogante Calboni. Su tutti il megadirettore galattico, simbolo di un potere distante e vessatorio che tratta gli impiegati come la truppa.
Quell’unico momento di ribellione «per me La Corazzata Potionkin è una cagata pazzesca!!!», miseramente fallito e culminato nell’umiliazione delle umiliazioni, è un oggetto di culto, al pari di «come è umano, Lei» per intere generazioni che nei primi anni 70 non erano neppure nate.
Il perché di tanto successo e dell’elevazione del nome allo sfigato per antonomasia lo ha spiegato lo stesso Villaggio in un’intervista rilasciata due anni fa a TV2000: «Il Fantozzi degli anni del boom, dove erano tutti ricchi e l’Italia era il quarto paese industrializzato del pianeta, era un’eccezione: faceva ridere. Adesso, sinceramente, l’Italia è diventata un paese, beh, piuttosto povero, diciamoci la verità. C’è gente che non lavora, c’è gente che fino a 40 anni vive in casa della nonna, quindi direi che Fantozzi non fa più tanto ridere, ma può essere amato in quanto ti libera dal timore di essere isolato in quel tipo di incapacità ad essere competitivi. Ti rendi conto che Fantozzi lo sono diventati il 99% degli italiani».