DAILY LA PAROLA

Fiasco

Storia del fiasco, bello a vedersi ma non altrettanto pratico delle bordolesi, le bottiglie francesi che alla fine ne hanno preso il posto

«Amicizia di grand’uomo e vin di fiasco, la mattina l’è bono e a sera è guasto». Cosi recita un detto popolare toscano, mettendo subito in risalto una delle problematicità del fiasco. Infatti se già dalla fine del ‘700 i mercanti e i produttori vinicoli francesi determinavano gusti del mercato internazionale, essendosi per primi posti con criteri imprenditoriali il problema della commercializzazione dei loro vini e curandone con in modo attento la confezione e l’imballaggio, in Italia e in particolare in Toscana, ancora per tutto il XIX secolo, si preferiva il tradizionale fiasco di vetro impagliato. Il fiasco panciuto e con il collo allungato dal bordo ingrossato, tradizionalmente adoperato per imbottigliare il vino da tavola e solitamente realizzato nel caratteristico vetro verde, era bello da vedersi ma non altrettanto pratico e funzionale come le bottiglie bordolesi francesi, più economiche e facili da trasportare e che inoltre non presentavano l’inconveniente della difficoltà nella chiusura ermetica. Infatti col fiasco si usavano ancora l’olio ed un cappuccio, e questo si rivelava un grave inconveniente durante i lunghi e difficoltosi trasporti, tenendo inoltre conto di come l’olio potesse anche alterare il vino, almeno nel profumo.

Il fiasco, l’oggetto che più di ogni altro racconta il nostro vino e del quale abbiamo riferimenti anche in letteratura già dal XIV secolo – basti ricordare come più volte nelle sue novelle Giovanni Boccaccio faccia riferimento ad un contenitore in vetro adatto a contenere «vino vermiglio» -, un tempo veniva rivestito dalle fiascaie, esperte impagliatrici, con rafie ed erbe palustri. Un modo per tenere il vino ad una temperatura costante ed evitare che il vetro andasse in frantumi.

Ma “fare fiasco” è anche l’espressione utilizzata per sottolineare un insuccesso, un fallimento, e come non si sia stati apprezzati per per quanto fatto, tradendo le aspettative. Un tempo si esibiva a Firenze un artista comico, un tale Domenico Biancolelli, che ogni sera in teatro si presentava al pubblico tenendo fra le mani un oggetto nuovo, e su di esso improvvisava versi buffi che dovevano divertire la platea. Una sera si presentò con un fiasco, ma i versi non furono apprezzati e ci fu un concerto di fischi. Da allora in poi si cominciò a dire “fare fiasco” quando qualcuno non riesce a fare qualcosa.

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