LA PAROLA

Fogliame

«Come è la stirpe delle foglie, così è anche quella degli uomini. Le foglie, alcune il vento ne versa a terra, altre il bosco in rigoglio ne genera, quando giunge la stagione della primavera: così una stirpe di uomini nasce, un’altra s’estingue.» (Iliade VI, 145-149).

A partire dall’Iliade, ma certamente anche prima, le foglie hanno aiutato i poeti a costruire metafore della condizione umana per via di quel rigenerarsi che comporta la precarietà. A molti torneranno in mente i versi della poesia Soldati di Giuseppe Ungaretti, il quale, rendendo pericolanti due settenari in quella divisione definitiva e che non fu unica, richiama, nella loro carsica sporadicità, alberi già spogli, con le fronde decimate dalle onde d’urto degli obici e dalle raffiche delle mitragliatrici.

Le foglie fanno il fogliame, che ne è il loro complesso, specie se di pianta legnosa. Non si usa, infatti, fogliame per le erbe dei campi e dei prati, per le quali la foglia costituisce spesso la gran parte dell’intera pianta. Più in generale la parola indica una quantità o un ammasso di foglie. Quindi si parla del fogliame che ricopre i marciapiedi o che intasa i tombini. Di uccelli che vi nidificano o vi svolazzano e cinguettano. Può stare sia per terra che per aria e forse gli è del tutto indifferente.

Il fogliame regala ombra fresca d’estate, ripara dalla pioggia e dal vento, nasconde da occhi indiscreti, ma può anche celarne. Aiuta e separa preda e predatore. Profuma ed ossigena l’aria. Accompagna le passeggiate con il suo secco crepitio sotto le suole. Diverte correrci dentro sollevandone nuvole. Nei pendii boscosi attutisce le cadute. Anche i suoni sono più morbidi se percorrono l’aria adagiata su un tappeto di foglie.Se si ascolta, sussurra, fruscia, bruisce o brusisce, raramente frascheggia, freme, mormora. Anche stormisce, che pur derivato dal germanico sturmjan, far tempesta, da noi mantiene un senso di leggerezza.

Il fogliame raccolto per essere buttato ha ispirato Yves Montand quando ha scritto la malinconica e celebre canzone Les feuilles mortes. Ne esiste anche una versione americana, che però evoca diverse atmosfere, rosse e dorate: Autumn leaves. Una cantante giapponese, Shiina Ringo, ha pensato bene di metterle insieme con arrangiamenti originali, da ascoltare qui.

Proprio in Giappone esiste una particolare tradizione chiamata Momijigari che nei mesi di ottobre e novembre richiama numerosi visitatori nei parchi e fuori città, per ammirare gli splendidi colori delle chiome del ginkgo e dell’acero. Anche in Canada e negli Stati Uniti è diffusa la pratica del foliage (foglieggiare, forse, potrebbe esserne una traduzione accattivante) che in autunno, specie nel New England, muove moltissime persone a caccia del peak of color, il picco di colore. Addirittura, come per il tempo atmosferico, si danno previsioni su quale sarà il periodo e il luogo migliore per ammirare le calde sfumature dell’autunno con tanto di mappe animate, come accade nel Maine.

Ma attenzione, meglio non avventurarsi troppo. Non si sa mai chi o che cosa possa sbucare dal fogliame dei cespugli. Siamo nella patria di Stephen King e se non lui in persona, o un orso già mezzo addormentato per l’imminente letargo, potrebbe essere uno dei suoi terribili incubi che abbiamo potuto vedere nelle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi. Shining di Stanley Kubrick, per citarne una su tutte, anche se lì, all’Overlook Hotel – che però, a dire il vero, è sulle montagne rocciose – di fogliame se ne vede ben poco, essendo pieno inverno e tutto coperto di neve.

Vale la pena, restando nel campo del cinema, citare due film in cui il fogliame ha un ruolo importante se non da protagonista, e lo condivide col vento, almeno in certe scene. Non solo Il Libro della Giungla, il famoso cartone animato di Walt Disney in cui il serpente Kaa appare e scompare tra le fronde cercando di ipnotizzare il piccolo Mowgli. In Blow-up, di Michelangelo Antonioni la vegetazione del Mayron Park, ma non solo, è continuamente mossa dal vento. Costituisce una presenza incombente che sembra sempre sul punto di invadere la scena, nel tentativo di riprendersi il terreno che gli uomini hanno destinato al più decifrabile prato inglese. Le foglie disturbano il fotografo agitandosi sul suo viso, ma soprattutto nascondono l’assassino, o una sua immagine, soltanto ricostruita dalla mente del protagonista, nel puzzle sgranato di un ingrandimento del fogliame. Anche nella scena iniziale dell’Edipo Re di Pasolini, proprio nel momento in cui in Silvana Mangano/Giocasta emerge il pensiero dell’incesto mentre allatta il suo bambino, le chiome degli alberi invadono le riprese dalla soggettiva di quest’ultimo, si parano dinanzi al suo sguardo impedendogli la visione del mondo esterno a quel rapporto, in un divenire roteante e ossessivo.

A questo punto, forse è meglio farsi una bella passeggiata nei boschi che ancora per poco offriranno le splendide tinte del foliage. Anche da noi ci sono destinazioni particolarmente suggestive. Eccole qui.

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