CRITICA IL PERSONAGGIO LIBRI

Fossero solo canzonette…

Si prenda la vita di un cantautore forse troppo caro agli dei per vivere oltre i 35 anni; si prendano le sue canzoni, i suoi concerti, i suoi testi, le sue dichiarazioni su riviste musicali, le sue partecipazioni a trasmissioni televisive; si prenda poi la vicenda della sua morte; si prenda infine un avvocato, cassazionista con trascorsi da sindaco. Raccolto tutto ciò, è possibile realizzare un libro: Chi ha ucciso Rino Gaetano? di Bruno Mautone edito nel 2016 da Revoluzione Edizioni.

Il libro, a prima vista, appare come un’inchiesta dalle suggestioni poliziesche: ipotizza infatti, senza tuttavia giungere a dimostrazioni incontrovertibili, che poteri occulti abbiano deciso di eliminare Rino Gaetano. Il fatto che non vi sia la “prova provata”, nulla toglie allo sforzo del pensiero di confrontarsi con gli spinosi problemi della verità. Vale insomma il vecchio adagio pasoliniano «Io so… ma non ho le prove», non solo per la buona fede dell’autore, l’avvocato Mautone, ma anche per le argomentazioni portate a far luce su quanto accadde quel 2 giugno di oltre 35 anni fa.

Giunti all’ultima riga del piccolo dossier, corredato degli atti dell’interrogazione parlamentare avviata all’epoca, la canzone di Rino Gaetano Figlio unico si disvela in altro modo ed il primo, vero “figlio unico” appare proprio il cantautore: un uomo controcorrente più per destino che per virtù autoimposta. Nell’inchiesta di Mautone, la vita del cantautore calabrese appare come il percorso del singolo che si ribella ad un gruppo interessato al controllo delle masse, non limitandosi, direbbe De André, “all’invettiva” – che il potere stesso ammette come “sfogo” capace di dar l’impressione dell’assenza di un controllo coercitivo –, ma giungendo a denunciare anche apertamente fatti e personaggi convolti in vicende italiane tutte da chiarire.

Per vicende private sue, Rino Gaetano sapeva. E sapeva molto. La sua parabola si potrebbe tracciare così: un’iniziale avvicinamento a logge massoniche, un successivo pentimento, il tentativo poi di riscattarsi attraverso una denuncia, neanche troppo “cifrata”, di personaggi determinanti per la vita pubblica italiana, ma sconosciuti ai più, i quali vengono citati nelle sue canzoni ma in modo da poter essere scambiati per omonimi, come il noto giornalista sportivo Cazzaniga in Nuntereggaecchiù.

Il libro di Mautone espone un’ampia serie di ipotesi riguardo i fili “occulti” che legano i testi di Gaetano a vicende compromettenti, e riporta il ginepraio di dichiarazioni rilasciate dal cantautore ad alcune riviste, ricollegabili a notabili della vita politica italiana, come si è detto, sconosciuti ai più. Scrosta, insomma, la cappa di banalizzazione volutamente imposta nel tempo sul valore artistico di Rino Gaetano, sbrigativamente ridotto al clown dal facile ed orecchiabile non-sense o al promettente artista prematuramente scomparso, così come è stato ritratto non molto tempo fa in una fiction che propone lo stereotipo dello scalcagnato di talento dalla fatale fragilità interiore. Proprio questa immagine contesta Mautone proponendo invece un Reitano che ha tentato la strada dell’“ironia cifrata” per denunciare il sistema.

John Lennon sosteneva che il potere poteva sopportare di essere criticato, sbeffeggiato, parodiato, ma che non andava mai sfidato dandogli la netta sensazione di agitargli i pugni sotto la faccia, perché in quel caso il potere non lo avrebbe sopportato e avrebbe reagito con violenza. Il Rino Gaetano che emerge dal libro sembra aver scelto proprio questa strategia, salvaguardando così (a differenza dell’attacco frontale di Luigi Tenco al mondo discografico) il proprio grido di denuncia nella convinzione che solo così il potere lo avrebbe risparmiato.

Che sia stato un artista unico è indiscutibile, soprattutto se paragonato a quei suoi colleghi che, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, hanno vestito i panni del cantautore militante, schierati ma anche prevedibili nell’invettiva politica, e perciò, in qualche modo, tollerati o addirittura graditi al sistema. La comparsa di Rino Gaetano nel panorama musicale italiano spiazzò critica e pubblico, che forse mai hanno davvero capito la portata delle novità che esprimeva. Un autentico ciclone di coreografie sincronizzate, nonché un modo di presentarsi disarmante fatto di cilindri corvini e cabarettistiche micro-chitarre.

Ora, se si considera – come fa per esempio Manlio Sgalambro nel suo piccolo ma eloquente saggio Teoria della canzone – quanto la musica leggera (quei componimenti, le canzoni, confezionati mediamente nella «durata della vita di un insetto») influenzi l’opinione pubblica, quanto crea senso comune e consenso, si può leggere il “fenomeno” Gaetano sotto luci diverse.

Perché mettendo in note la banalizzazione rassicurante, è facile imporre modelli culturali capaci di far “digerire” lo sfruttamento economico e la violazione dei diritti.

Si prenda allora il brano La ballata di Renzo, nel quale Gaetano descrive la vicenda di un giovane vittima di un incidente che non solo verrà rifiutato da tre ospedali (gli stessi che lo rifiuteranno quando l’incidente capita a lui), ma non troverà posto neanche al cimitero. Ed anche qui la vicenda è analoga a quella del cantautore calabrese, perciò il brano appare come una terrificante premonizione, ma potrebbe anche essere letto come un contrappasso al quale l’artista viene condannato in una diabolica vendetta ordita nelle Logge.

Qualunque sia l’interpretazione resta il carattere inquietante dell’apocalittico gioco metalinguistico, nel quale l’artista si diverte a dileggiare anche se stesso e la propria categoria di appartenenza, gli intrattenitori di massa di regime.

Sotto questo profilo Nuntereggaechiù è un vero è proprio monumento alla derisione arguta nel teatrino del mondo dello spettacolo, con il torrenziale elenco di intoccabili della vita pubblica italiana, veri e propri “highlanders” dell’immaginario collettivo.

Dunque il ragazzo di Calabria che amava Pitagora e le contaminazioni concettuali – autore del celebre Ma il cielo è sempre più blu, ed anche di un pezzo meno noto e tuttavia bellissimo, Ad esempio a me piace il sud, una sorta di manifesto ante litteram del “pensiero meridiano” proposto dal filosofo barese Antonio Cassano – conservava evidentemente quel pervicace nucleo di genuinità che è incompatibile con gli ambienti del potere.

Conservava “impurità” incompatibili con l’“illuminato” Rino, impurità da smaltire secondo il pensiero dei fratelli di loggia, e sarebbero state proprio quelle, spiega Mautone, a costargli la vita: un processo di iniziazione massonica malriuscito, causa l’ostinato senso della libertà di coscienza dell’ancora “troppo profano” ed irrequieto Gaetano.

Giocoliere delle parole, musicista funambolico dalla melodia asimmetrica e imprevedibile, una voce a metà fra la dolcezza e la rabbia, Rino Gaetano è uno splendido esempio di tragicità, mascherata di umorismo, incarnazione perfetta del motto di Guy De Bord, per il quale l’arte è quella particolare finzione che dice la verità.

Un ruolo scomodo in un paese che ha spesso confuso la commedia dell’arte con la vita vera; dove il grottesco che dovrebbe appartenere alla fantasia è inconsolabilmente legato alla realtà; dove la delusione delle aspettative nasce dai ruoli sociali assegnati in modo maldestro a persone assolutamente fuori luogo; dove i problemi sono stati troppe volte superati con la battuta comica esorcizzante.

In Rino Gaetano c’è la “sublimazione” della musica “leggera”, che della spensieratezza ha solo sapientissime “mentite spoglie”, mentre in realtà affronta temi di spessore, quindi gravi, diventando così, in ultima analisi e parafrasando una nota definizione di Battiato, musica “pesante”. Parimenti la sua vita è stata purtroppo breve, e tuttavia si è rivelata molto più lunga di quella di tanti “morti in vita”, appartengano alla cultura o alla politica, a quella alta o a quella bassa. Più lunga anche di quella di tanti suoi imbarazzanti colleghi che, con il loro accanimento a presentarsi in pubblico, dimostrano di essere poco “figli unici” (tuttalpiù coatti alla propria singola sopravvivenza) e molto “ostaggi” delle proprie famiglie che devono essere lautamente mantenute.

E allora è bello immaginare Rino Gaetano che conserva il suo sorriso obliquo e agrodolce anche nei momenti della sofferenza per l’incidente, non solo a schernire i mandanti del suo ipotizzabile omicidio, ma anche ad illuminare il grande pubblico confuso dall’intrattenimento di regime a tutti i costi, ricordandogli, a differenza di quanto sosteneva Bennato, che «non sono solo canzonette».