CRITICA LIBRI VISIONI

I doppi sogni di Schnitzler

In tedesco Doppelgänger significa sosia, e un sosia – com’era il servo di Anfitrione di cui Mercurio, generando equivoci e scene comiche, prende le sembianze nella commedia di Plauto Amphitruo (e poi in quella di Molière Amphitryon) – è una persona talmente somigliante a un’altra da poter essere scambiata per essa. Un “doppio”, insomma, un gemello, qualcuno che può prendere il proprio posto e fingersi noi stessi.

Ne L’altrui mestiere, in un brano intitolato Dello scrivere oscuro, Primo Levi afferma: «Siamo fatti di Es e di carne, ed inoltre di acidi nucleici, di tradizioni, di ormoni, di esperienze e traumi remoti e prossimi; perciò siamo condannati a trascinarci dietro, dalla culla alla tomba, un Doppelgänger, un fratello muto e senza volto, che pure è corresponsabile delle nostre azioni, quindi anche delle nostre pagine».

Potremmo anche chiamarlo «l’inquilino del piano di sotto», quello insomma che non si vede e forse non si vorrebbe vedere ma c’è, c’inquieta e si affaccia al piano di sopra senza chiederci alcuna autorizzazione, o, come lo stesso Primo Levi – traducendo nel suo volume Ad ora incertala poesia di Heinrich Heine intitolata Heimkehr, il ritorno, equivalente a quello fatto verso casa lasciando Auschwitz – rende la parola Doppelgänger, il «pallido compare» che viene «a scimmiottare il mio tormento».

Ebbene questo Doppelgängerfu anche l’impareggiabile scrittore austriaco Arthur Schnitzler, «doppio» di Sigmund Freud che perciò esitò a lungo ad incontrare a Vienna il suo concittadino, mantenendo delle distanze che gl’impedissero di misurarsi con le inquietudini e gli arrovellamenti che l’autore della Signorina Else, di Girotondo o di Doppio sogno (Traumnovelle, letteralmente la novella del sogno anche se inizialmente doveva intitolarsi Doppelnovelle, la novella doppia) metteva in scena o fissava sulla pagina proprio negli anni e nella città dove il celebre fondatore della psicanalisi ci rivelava quanto importanti, anzi decisivi, siano i nostri sogni, le immagini che andiamo formando nella nostra mente quando, dormendo, stacchiamo l’interruttore della razionalità e di cui conserviamo traccia al risveglio.

Un libro pubblicato da Il Saggiatore ci dà per intero conto dei sogni fatti da Arthur Schnitzler fra il 1875 e il 1931, ovvero sia fra quando aveva 13 anni e quando, sessantanovenne, morì all’incirca all’età in cui Primo Levi si tolse la vita.

Ebbe lo scrupolo di annotarli in taccuini, parallelamente all’attività diurna in cui scrisse i capolavori che ci ha lasciato, i tre già citati ed ancora, ma solo per dirne qualcuno, Il sottotenente GustlIl ritorno di CasanovaGioco all’albaFuga nelle tenebreBeate e suo figlio.

Il quotidiano on-line “linkiesta” ne dà un assaggio invitando i lettori a confrontare i proprio sogni strani con quelli di Schnitzler ed affermando che si tratta di «un libro dei sogni raccolto da un genio attento ai moti della propria anima come alla forza surreale della narrazione onirica».

Un diario dei sogni, si legge nell’articolo, è «forse un paradosso: la biografia, più o meno letteraria, della propria irrealtà. Chi racconta un sogno è inevitabilmente il cronista dello straniero che abita in lui. Un diario dei sogni riflette il desiderio e lo sforzo di fermare, sottrarre alla dimenticanza le volatili immagini notturne; e così l’Io onirico, lasciato solo davanti alla pagina bianca, porge la mano all’altro Io, quello, per così dire, reale, e con esso nel desiderio si confonde».

Introdotto dai saggi di Agnese Grieco e Vittorio Lingiardi su Schnitzler, la vita onirica e la psicoanalisi, Sogni 1875-1931 https://www.ilsaggiatore.com/libro/sogni/, è il diario notturno, in versione integrale, «di un’epoca inquieta, l’autobiografia inconscia del primo Novecento europeo, il gemello letterario dell’Interpretazione dei sogni di Freud. Un testo-laboratorio, cangiante e unico, di sincerità biografica persino dolorosa e al tempo stesso di anarchica bizzarria immaginifica. La più esatta attualizzazione delle celebri parole di Prospero nella Tempesta: la nostra breve vita è cinta di sonno, siamo fatti della stessa sostanza dei sogni».

Per gentile concessione de Il Saggiatore, “linkiesta” offre anche un breve estratto dai Sognidi Arthur Schnitzler che qui ripropongo non solo per il legame letterario che mi lega a lui – e a Primo Levi (la novella Io la salverò, signorina Else pubblicata da Portaparole, i racconti Sempre più verso Occidente pubblicati da Baskerville e la biografia Questo è un uomo pubblicata da Tessere) – ma anche per trovare e fornire acquietante conferma a quanto mi è stato con disprezzo detto alcuni anni fa, che pur avendo spesso letto gli stessi libri, dentro di essi non si sono trovate le stesse parole, quasi che uno sia il Doppelgängerdell’altro, e drammaticamente anche i rapporti più belli, o quelli “essenziali”, spesso siano Doppelbindung, “doppi legami”, come quelli indagati da Gregory Bateson o rimasti nella penna di Primo Levi.

23 ottobre 1875

Questa notte ho sognato che ero vicino alla finestra e lei è venuta da me, stava all’esterno della finestra. Mi sono sentito improvvisamente non so come. L’ho abbracciata e baciata ardentemente e lei ha ricambiato il mio bacio. Così siamo rimasti per qualche tempo e ci siamo baciati ancora e poi ancora. Mi sono svegliato, nel sogno già esultavo, io l’ho baciata – lei mi ha dato un bacio – e mi sono svegliato. Sono scoppiato in un gran pianto. Proprio allora sorgeva l’alba, ero d’umore triste, molto triste.

24 ottobre 1875

Lei m’insegue in tutti i miei sogni. Questa notte ho avuto la sensazione come se mamma e la signora R. (sua madre) fossero in un giardino meraviglioso. Singolare, come accade solo in sogno. Ero accanto a lei e in quel momento volevo dirle, ora possiamo stare sovente insieme, ora puoi farmi visita. Stavo per dirglielo e lei d’improvviso era in un viale buio ed è scomparsa ai miei occhi. Improvvisamente ho visto me stesso davanti a un’antica casa di aspetto singolare, insieme a un ragazzo, credo fosse Josef Kranz. Siamo entrati, non so cosa volessi fare là dentro. Improvvisamente ero solo, in una camera buia. La porta si è aperta a fatica, infine ero in un corridoio scuro, un’altra porta, poi ero fuori. Mi trovavo in una sala. Tutt’intorno c’erano molte vetrine con pipe d’ambra e una quantità di gente nella sala. Alla mia destra c’era lei, alla sinistra il professor Blume [professore di storia e tedesco]. «Buon giorno, Arthur, vuole comprare delle pipe?» ha chiesto. «Beh, ma i miei amici Gauermann e Saurüben potrebbero già essere qui. Mi conduca dal Suo papà.» Così sono stato costretto ad allontanarmi di nuovo da lei. Poi ero per strada nei pressi del Volksgarten. Correvo a più non posso per essere presto di ritorno. Quando mi sono voltato il signor Riedel [mio maestro di pianoforte] era dietro di me. Continuavo a correre attraverso la città, nutrivo la speranza di riuscire a sfuggire se ci fosse stata molta gente. Ma le strade erano quasi vuote. Adesso ero al Volksgarten e precisamente nel punto della nuova Bellaria. Dietro di me c’era il signor Riedel, a braccetto con una donnetta dalle corte trecce bionde, piccola, colorito pallido, una certa somiglianza con la signorina Ehnn [cantante d’opera]. «Eccoci di nuovo qui dunque» ho esclamato, poiché mi pareva che quello fosse il luogo da cui mi ero allontanato. Ora mi sentivo come a casa. In quel momento mi è venuto il pensiero: Forse tutto questo è sogno; approfittane, devo vederla. Io (…).

6 maggio 1880

Questa notte strani sogni, la cui successione non so ricordare esattamente. Per esempio: Trascorro un’intera giornata davanti all’ospedale nella sala di dissezione, precisamente siedo con i miei colleghi davanti alla porta, come i soldati in libertà davanti alla caserma. Trasportano qui uomini pallidi, nudi sopra una barella, non so se siano malati o morti. E neppure so se si riferisse a malati o morti la singolare osservazione: È salutare per loro se di notte le finestre restano aperte ed essi stanno coricati in maniera che i loro capelli penzolino fuori dal davanzale della finestra, nell’oscurità. Uno si trascinava intorno, davanti al portone, un essere mingherlino, piccolo, con capelli radi, denti guasti, un viso smorto su cui crescevano neri peli ispidi, e occhi intimoriti. Inizialmente ero per ritenerlo morto e ho avuto foschi pensieri, a che scopo viva in fondo l’essere umano, visto che già prima della morte è così infelice.

25 febbraio 1891

Un sogno, di M.G. che partorisce un bambino, non mi permettonodi andare da lei. Vedo il bambino, irrequieto, magro, nato prematuro. Sogno di Rose Fr. coricata fra due finestre (come un cuscino contro gli spifferi) e comprendo che le donne aspirano all’emancipazione.

29 marzo 1891

Il sogno che ho avuto tempo addietro: Deve avere luogo la mia sepoltura, sono sulla via di casa, vedo già alla finestra la gente che mi aspetta, il carro funebre è di sotto. Salgo, mamma m’incoraggia.

4 aprile 1891

Sogno: Rosa St. stanza 30. Nei panni di lei, una vecchia megera che grida sulla scala: Niente carne da tagliare? Ma sì, anche se ne va di mezzo la salute.

17 maggio 1891

Ho sognato incredibilmente molto. M.G. con me, con noi le ragazze del balletto ecc. ecc.

8 luglio 1891

Di recente un sogno; sono su una trave attraverso un pantano verde, alle mie spalle dei pazzi in uniformi di malati, così che non posso fuggire. I folli cantavano una melodia che ancora oggi so ricantare esattamente.

Oggi sogno: Richard T. ha scoperto in M.G. un difetto: È capace di dormire tranquillamente mentre sua madre fa le valigie. Mi ha colpito la sua conoscenza degli esseri umani.

15 luglio 1891

Sogno: Sono condannato a morte per aver pugnalato un tale uccidendolo, sarò tuttavia graziato a 6 mesi. L’assassinato è lì, vivo, gli ho cavato un occhio con la lama. Non è arrabbiato con me, mi abbraccia. Avevo dimenticato la condanna che mi era stata inflitta. Se potrò scrivere in prigione? No. Preoccupazioni per M.G.

9 agosto 1891

Di recente un sogno: Un grosso ragno che mi porta

27 settembre 1891

Sogno di M.G., mentre lei è assopita fra le mie braccia: Faccio costruire un teatro ed è sempre troppo grande per me. Faccio togliere mattone dopo mattone, infine, quando voglio entrare, per me non c’è posto. Lascio fuori il binocolo da teatro, non è di nessun aiuto. (Questo sogno è stato influenzato dai nostri discorsi a proposito del teatro di suggestione, teatro delle pulci lo chiamano per scherzo alcuni miei amici.)

9 novembre 1891

Sogno di M.G. Lei guarisce e viene da me. Io: Amo un’altra. Lei svenuta. Dammi del veleno. Eccolo. Poi mi avvicino a lei e le dico: morirai fra le mie braccia. Lei si addormenta fra le mie braccia, si sveglia e ha dimenticato tutto. Nell’armadio sono appesi tanti abiti bianchi. Lei va allo Stadtpark, ha delle rose in mano. Si siede su una panchina. Le si siede accanto un tale dall’aspetto male in arnese. Conversazione. S’innamorano. In un altro giardino. L’uomo: Non ricorda di avermi già amato un tempo? Lei non rammenta assolutamente. «Sono A.S.» Ma lei non sa proprio più nulla di quell’A.S. del passato. Con quest’altro sarà molto felice. Lui (io) però continua a tormentarla perché lei non ricorda di averlo amato prima.

18 febbraio 1892

Sogno di M.G. Mando da lei un fattorino. Guance colorite, abiti nuovi. Che venga subito da me. Io muoio. Lei in sottoveste viene da me in gran fretta. Io a letto, trasfigurato, tra nuvole. Un angelo con dei libri si libra verso l’alto. Lei: Angelo, che cosa porta con sé? – Le sue opere. (Come se un quadro prendesse a parlare. Intendeva anche le opere che non avessi ancora scritto. A lei rincresceva soltanto di non aver toccato le ali dell’angelo, poiché già da molto tempo le sarebbe piaciuto sapere di che cosa sono fatte.

27 maggio 1892

Sogno. Recito insieme alla Duse. Lei è Cleopatra, io un soldato che lotta contro di lei. La ipnotizzo con il mio sguardo, lei cade in preda a crampi isterici, più tardi mi fissa sogghignando, con espressione tremenda. Poi mi passa davanti mentre viene portata fuori da una donna, lungo la scala della galleria del Carltheater: è nuda, immobile, simile a una statua, oblunga e angolosa. Mi vede e gesticola verso di me in modo terribile.

13 luglio 1892

Sogno di M.G. Mamma le corre dietro sulla strada: Mi restituisca mio figlio. – Lei: Ma io non lo trattengo. – Lei non ha ancora superato nessuna prova per meritarlo. Deve cucinare. – Ma io so farlo. – No, domani manderò via la cuoca, Lei cucinerà. – Il giorno seguente M.G. arriva. Mamma e papà le sottopongono le prove. Cibi sconosciuti. In cucina io rimescolo in un tegame, come volessi facilitarle la cosa. Lei è disperata. Io: Ho scritto una novella, potrà servire. – La prendo. La si butta nell’acqua bollente, gorgoglia, ne viene fuori una salsa dorata con polletto. La portiamo sulla tavola apparecchiata, restiamo in piedi in attesa. Mamma: Lei ha superato la prova. Papà: Non vale. Io: Lo vedi, questo è papà.

16 ottobre 1892

Sogni non nitidi della prima notte (nella Grillparzerstrasse): Mio padre dice che non ho talento, io mi richiamo a Loris. Paesaggi non definiti. Regioni di Vöslau e Baden. Coupé. Else. Tutto si confonde.

8 novembre 1892

Sogni sgradevoli, O.W. con la quale me ne vado in giro per Venezia e nella Währingerstrasse. Gravi malattie. Debiti di gioco. Nausee.

28 dicembre 1892

Sogno: Sono mortalmente malato, mi arrabbio perché devo morire. Qualcuno mi dice: Quando Lei si reca da una signora, deve lasciare in anticamera il soprabito, dunque Dio può ben pretendere che Lei deponga il Suo corpo prima dell’ingresso in paradiso. Poi mi avveleno. Lei (quale lei, non so) accanto a me. Io dico: Non fare come nella mia pantomima.

L’articolo originale nel blog di Daniele Pugliese “Guardare negli occhi l’assurdo”