LA PAROLA

Divertire

Divertire – ovvero procurare agli altri buonumore, piacere, sorrisi – è un verbo che si attribuisce comunemente a situazioni di allegria ed ilarità. Divertente è una persona simpatica, per la sua indole spiritosa, o anche per professione, come ad esempio un attore comico, un cabarettista, un clown. Divertente si dice anche di libri, film o di spettacoli teatrali, ma solo nel caso in cui facciano effettivamente ridere o sorridere.

L’etimologia è di derivazione latina anche se per i latini, qualsiasi forma d’arte “divertiva”, a prescindere dalla sua capacità di rallegrare gli animi. La spiegazione risiede nella costruzione linguistica e concettuale del termine: dis vertere, “volgere altrove”, quindi, in più ampie accezioni, “allontanare”, “deviare”, più che altro “distogliere”. L’arte, di fatto, distoglieva l’attenzione da altre cose.

Divertire, quindi, ha un’origine di natura diversa, rispetto al significato traslato che ha successivamente acquisito e i più solitamente gli danno. Nasceva principalmente da situazioni di necessità, rispetto alle quali sarebbe stato meglio fare altro oppure pensare ad altro. In questo senso divertire portava comunque un effetto benefico perché rinfrancava lo spirito, oppure perché, da un punto di vista più pratico poteva rappresentare la soluzione in determinate circostanze.

Questa distinzione tra utilizzo antico e più moderno dei termini di origine neolatina è interessante perché ci permette di analizzare l’evoluzione del loro significato attraverso i cambiamenti sociali, così come ci permette di approfondirne il contenuto.

Divertire, ad esempio, nel corso dei secoli, ha subìto una trasformazione concettuale seguendo una logica ben precisa: se una determinata situazione, di qualsiasi tipo essa sia, inizia a non mostrarsi più adeguata, allora bisogna cambiare direzione, volgere altrove appunto, soprattutto il pensiero. Pensando ad altro infatti, l’effetto più immediato sulle nostre sensazioni è innanzitutto di rilassamento e quindi poi di piacere, ma un piacere certamente meno pretenzioso rispetto a quello dei secoli successivi, durante i quali anche tutto il resto subiva la tendenza ad esprimersi in maniera gradatamente più esasperata.

Ecco che la pura “distrazione” – anch’essa derivata dal latino dis – trahere, di nuovo “muovere altrove” – sembrava non soddisfare più quell’esigenza originaria di ristabilire un equilibrio tra cambiamento e benessere, quello spostare lo sguardo ed occuparsi d’altro, l’“oziare” al posto del “negoziare”.

Al suo posto, a un certo punto, è arrivato per divertirsi il bisogno di un valore aggiunto che si traduce oggi nella capacità di procurare un particolare stato di allegrezza, di leggerezza, entusiasmo, eccitazione, in poche parole: il divertimento. Magari lo sballo, la trasgressione, il rituale del cinema o delle chiacchiere ridanciane nella comitiva degli amici.

Non che ridere, anche a crepapelle, sia esecrabile, anzi: farlo e saperlo far fare è ‘nu miracolo. Ma come si sa «risus abundat in ore stultorum», il riso abbonda sulla bocca degli stolti, che in realtà sghignazzano, starnazzano, come le oche. Perciò è proprio il senso originario del guardar altrove che merita d’esser riscoperto: in fondo fece così anche Galileo.

Qualcosa di analogo vale, al contrario, per il concetto di annoiare, di cui si riferirà più dettagliatamente in una prossima puntata, il quale nasce dalla sensazione di tedio – l’avere in odio, inodiare avrebbero detto i latini nel periodo tardo della loro lingua mediandolo probabilmente dal provenzale enojar da cui deriva – dinanzi all’immutabilità o al protrarsi delle situazioni, ma estendendosi fino all’uso comune che ne ha fatto una bevanda quotidiana da assumersi più volte al giorno, quasi fosse secondo prescrizione medica, quanto meno dopo il celebre romanzo al tema intitolato di Alberto Moravia che sferzava una classe sociale, forse una generazione, senz’altro un entourage, dedito a questo sport invero assai noioso e, ahimé, ripetitivo. Arrecar noia, ovvero sia stufare, sta all’annoiarsi come il rombo del motore alla Ferrari: non c’è l’uno senza l’altro.

Ma per tornare al verbo in questione, interessante sarebbe soffermarsi sul participio passato di divertere e cioè diversus che è stato parimenti oggetto di un processo linguistico degno di attenzione. Se accostiamo infatti il significato corrente dei due termini, “divertire” e “diverso”, tutto siamo portati a pensare, tranne che la radice linguistica sia la stessa.

Ciò appunto dimostra il potenziale “divertente” che hanno le varie influenze sociali su tutti gli aspetti della nostra vita, e che, nel bene o nel male, ci preservano almeno dalla “mortale” noia, dandoci di che divertirci. Del resto non sarà una risata che ci seppellirà?

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