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Il rave interreligioso dell’Indonesia

Isola di Flores, Indonesia, un giorno di agosto del 2018. A bordo di un taxi collettivo siamo in sei più l’autista. Stiamo andando dalla città di Maumere, sulla costa settentrionale, al piccolo paese di Moni, mille metri alle pendici del vulcano Kelimuntu.

La strada è lunga e tortuosa. Sul taxi siamo gli unici due non indonesiani. Durante le soste per sgranchirsi le gambe e mangiare qualcosa, si chiacchiera con l’unico passeggero che parla inglese. È un prete cattolico, missionario da molti anni in Brasile, in una favela a San Paolo,che è appena stato a trovare i parenti: «Ogni tre anni torno, è un viaggio lungo. Francamente pensavo che mi avrebbero mandato più vicino, magari nelle Filippine».

Flores è una delle poche regioni a maggioranza cattolica dell’Indonesia, che resta il più grande paese musulmano al mondo con 202,9 milioni di fedeli (l’87,2% della popolazione). Il cattolicesimo è un lascito dell’occupazione portoghese, di cui restano tracce anche nei nomi delle persone e in alcune fortificazioni sparse nell’isola.

Con il prete si parla un po’ di Lula e del suo destino triste. «L’ho conosciuto, ha fatto molto per il Brasile, ma poi si è circondato di gente sbagliata» sentenzia.

Poi gli racconto che in Indonesia c’ero stata 35 anni fa e quasi non mi ero accorta che fosse un paese musulmano. Il colpo d’occhio ora è completamente cambiato, nelle zone a maggioranza musulmana le donne sono tutte velate, anche le bambine piccolissime. Una trasfornazione scioccante. «Anche per me è scioccante – dice il prete – la tradizione dell’Indonesia è sempre stata diversa. Nella mia famiglia ci sono cristiani, musulmani, animisti. Siamo sempre andati d’accordo. Anche i miei familiari musulmani non capiscono bene cosa sta succedendo».

Soprattutto nel resto del paese il processo di radicalizzazione dell’islamismo non è stato indolore. A parte atti terroristici sporadici ma molto sanguinosi ad opera di frange radicali filoqaediste, il cambiamento riguarda l’avanzamento di un islamismo politico sempre più aggressivo, rispetto alla tradizione moderata del paese, dove l’Islam, nonostante le pressioni di alcuni gruppi, non è religione di Stato.

«La verità è che queste nuove leve fondamentaliste sono finanziate dall’estero. Hanno molti soldi e cercano di manipolare l’Indonesia ma io credo che non ci riusciranno» riassume il nostro compagno di viaggio cattolico.

È un dato di fatto che grossi flussi di soldi arrivino dai paesi del Golfo per sostenere la costruzione di moschee, madrasse e un maggior attivismo in campo politico con la costituzione di partiti confessionali. «Ma l’Indonesia è più forte di questo, siamo un arcipelago di migliaia di isole, centinaia di gruppi etnici e linguistici, e di credenze religiose, siamo storicamente abituati a convivere e penso che la nostra società civile abbia gli anticorpi».

L’Islam Nusantara, l’Islam dell’arcipelago, corrente alla quale aderiscono la maggior parte dei musulmani indonesiani, si propone come versione moderna e moderata dell’Islam contro la propaganda radicale e fondamentalista. La religione entrerà anche nelle presidenziali del 2019, alle quali l’attuale presidente Widodo si presenterà, contro il suo avversario, un ex generale già battuto la volta scorsa, con un vicepresidente scelto proprio in quanto leader religioso conservatore, per contrastare le frange islamiche più estremiste.

Nelle strade di Flores lo scontro di civiltà ha riflessi anche comici. In ogni villaggio ci sono cantieri sempre aperti per la costruzione di moschee che giganteggiano in una sorta di gara con le chiese, numerosissime e dalle architetture strampalate simili ad alberghi. Il canto del Muezzin scandisce la vita delle città.

«Qui i musulmani sono quattro gatti ma dobbiamo stare a sentire tutti» sogghigna il cattolicissimo Moses, guida e albergatore di Bajawa, nel centro dell’isola. Nella piccola cittadina di Riung, sul mare, il parroco ha fissato la celebrazione della Prima Comunione alla vigilia della festa del Sacrificio. Per i cattolici indonesiani la Comunione è una specie di Capodanno, si festeggia tutta la notte con musica sparata dagli impianti stereo in una sorta di rave pagano e religioso insieme. Disturbando il sonno di tutti, anche dei musulmani. Il giorno dopo però tocca a loro alzare il volume della festa e tenere svegli i cristiani. In realtà tutti fanno vista a tutti in una specie di Carnevale di due giorni, dove il dialogo interreligioso si fa a colpi di decibel.

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