ATTUALITÀ STORIE

Il socialismo cibernetico di Allende

Nascita, crescita e morte del progetto di socialismo cibernetico, nel Cile di Salvador Allende
La Opsroom

Siamo tutti vittime del lato oscuro degli algoritmi e della dittatura dei big data che governano le nostre vite più o meno con la nostra inconsapevole complicità. L’utopia del web come moltiplicatore democratico fiorita nella Silicon Valley si è trasformata nell’incubo del Grande Fratello digitale, asservito ai nuovi super capitalisti col faccino da nerd che fanno immense ricchezze sulla merce più preziosa in circolazione, più dell’oro e del petrolio: i nostri dati. Il tutto, nella sostanziale incapacità dei controllori politici di fare il loro mestiere: imporre regole, mettere paletti, in definitiva controllare.

Con il senno di poi, fa un certo effetto capovolgere la prospettiva e ritornare al visionario progetto di socialismo cibernetico dal volto umano che per un paio d’anni attraversò le stanze della Moneda (la residenza ufficiale del presidente della Repubblica cilena), quando Salvador Allende assunse democraticamente il potere in Cile per realizzare una società socialista. Cybersyn, o Synco in spagnolo, unisce le parole cibernetica e sinergia ed è la sigla di un incredibile piattaforma di controllo pianificato dell’economia, a cui collaborarono un giovane ingegnere ed economista cileno, Fernando Flores, un eccentrico e geniale cibernetico inglese con una lunga barba da hippie, Stafford Beer, e un designer tedesco, Gui Bonsiepe.

All’origine di tutto c’era il problema di dover gestire all’incirca centocinquanta aziende, fabbriche grandi e piccole sparse per il lungo territorio cileno, che il governo socialista di Allende, appena insediato, aveva deciso di nazionalizzare. L’obiettivo era trovare un metodo innovativo e moderno per fare meglio di quanto aveva fatto la pachidermica e dogmatica pianificazione sovietica dei piani quinquennali. Allende cercava una via più flessibile e meno dirigista che contemplasse anche una reale partecipazione ai processi dei lavoratori e scongiurasse l’insabbiamento burocratico dei processi decisionali.

Ecco quindi che il ventottenne Flores, prima a capo della Corporazione per il Miglioramento della Produzione, (CORFO), poi ministro delle finanze, contattò Beer, che applicava la cibernetica al management aziendale, proponendogli di venire in Cile a sperimentare il suo metodo con un’economia pianificata di stato. Beer accettò in cambio di un onorario di 500 dollari al giorno, una dose quotidiana di whisky, sigari e cioccolato. Il progetto consisteva nel creare una rete telematica che fosse in grado di fornire in tempo reale i dati sulla produzione, le scorte, lo stoccaggio, il trasporto, i turni e le assenze del personale dalle aziende, sparse in tutto il territorio, ad un centro di controllo a Santiago. Come? Nel ’71 in tutto il Cile c’erano pochi computer, per la maggior parte obsoleti o inefficienti. L’IBM si era allontanata dal paese temendo di finire nelle maglie delle nazionalizzazioni. In più gli Stati Uniti avevano di fatto imposto una sorta di embargo per stroncare l’esperimento socialista nel Continente americano. Quindi bisognava arrangiarsi con quello che c’era. La soluzione fu geniale, sfruttando risorse rudimentali. Beer si inventò una rete basata su cinquecento telex, una tecnologia vecchia, che venivano installati nelle aziende pubbliche, negli uffici governativi periferici, nelle varie agenzie e collegati attraverso la rete telefonica ad un supercomputer IBM I360 equipaggiato con il programma Cyberstride, un software di modellazione statistica che permetteva di centralizzare le informazioni ricevute dai telex, trattarle e utilizzarle, prevedendo l’esito di ogni possibile decisione. Il sistema doveva agire a più livelli: tutte le informazioni dovevano essere utilizzate prima in fabbrica, poi se lì non si riusciva a risolvere il problema allora sarebbe stato inoltrato a un livello più alto, fino alla sala di controllo a Santiago. Il sistema di trasmissione dei dati non doveva funzionare solo in senso verticale, dalla base al centro, ma in senso inverso, dal centro alla base, e in orizzontale, in modo da consentire il controllo di tutte le informazioni relative al processo produttivo, anche in periferia ai lavoratori stessi.

Salvador Allende

Al cuore del sistema c’era quella che è diventata l’icona del Cybersyn, la Opsroom, l’operation room concepita da Bonsiepe come la sala di controllo dell’Enterprise di Star Trek: una stanza esagonale con al centro sette poltrone girevoli in vetroresina bianca, dotate ciascuna di una specie di plancia di comando con pulsanti e bottoni, oltre che di posacenere e porta bicchiere di whisky come espressamente richiesto da Beer, e, alle pareti, schermi con diagrammi in constante aggiornamento con i dati provenienti dai vari gangli del sistema. Non erano previsti tavoli per favorire la discussione e il numero dispari era stato pensato per evitare lo stallo nelle decisioni.  Accanto al progetto principale Beer aveva progettato anche il più inquietante Cyberfolk, un sistema che avrebbe dovuto monitorare la felicità dei cittadini grazie al metro algedonico, un dispositivo installato direttamente nelle case di ogni famiglia cilena per dare il feedback immediato delle azioni di governo. Qualcosa che oggi, nel mondo dei like, ci suona indubbiamente familiare.

Il sistema venne collaudato drammaticamente ma efficacemente durante lo sciopero dei camionisti, manovrato dalla destra del Paese e sostenuto dalla Cia che paralizzò il Cile nell’ottobre del 1972. Grazie al Cybersyn il governo poté gestire in tempo reale il trasporto delle merci utilizzando i duecento camionisti che non aderirono al blocco e riuscendo a consegnare cibo e altri beni di prima necessità nelle aree del paese che ne avevano più bisogno. Lo sciopero si ripeté l’anno successivo e ancora il governo asserragliato nella Opsroom riuscì a gestire l’emergenza. Tanto che Allende chiese di riprogettarla direttamente all’interno della Moneda. Le cose poi andarono diversamente come è noto, con l’innalzarsi della violenza politica fino al colpo di Stato dell’11 settembre 1973. La Opsroom venne distrutta, il team cileno che l’aveva pensata e progettata finì in parte in galera o in esilio, mentre Beer, dopo aver cercato di salvare alcuni sui collaboratori cileni decise di abbandonare Rolls Royce e villone con piscina vicino a Londra e di ritirarsi in Galles, in una casetta di campagna senza acqua né telefono per dedicarsi alla pittura, alla poesia, allo yoga e solo sporadicamente alla cibernetica.

Ultimamente l’esperimento del socialismo cibernetico è tornato di moda in ambienti ristretti che discutono di sinistra e web, soprattutto come modello di una società digitale gestita non solo da venture capitalist o magnati della Rete, dove i politici fanno da spettatori a meno che non siano regimi autoritari, ma da un’agenzia governativa che cercava di tenere insieme anche le esigenze dei lavoratori e dei cittadini. All’epoca non mancarono critiche, anche da parte di organizzatori di lavoratori, che vedevano il rischio del controllo totale di un sistema tecnocratico. Ma come sarebbe davvero andata a finire non lo sappiamo, dal momento che il Cybersyn non fece in tempo a diventare pienamente operativo. E della mitica Opsroom è rimasta solo qualche vecchia foto.