DICONO DI NOI

“Il Tirreno” ricorda Gramsci e il libro di TESSERE

Questo l’articolo che il quotidiano toscano “Il Tirreno” ha pubblicato in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci nel quale si da conto delle pubblicazioni più recenti sul grande pensatore del Novecento, tra cui il volume di TESSERE curato da Gian Luca Corradi, Il giornalismo, il giornalista.

Il pensiero di Gramsci germoglia nell’attualità. Fervono gli studi sulla ricchezza delle sue intuizioni

ENRICO MANNARI

Sono trascorsi ottanta anni dall’alba di quel 27 aprile del 1937 quando Antonio Gramsci, che il fascismo aveva rinchiuso nelle sue carceri sin dal 1926, si spegneva per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Ogni volta nei decenni successivi si è posta la questione della sua “attualità”.

Nel contesto italiano, fu in primo luogo segnata dall’uso che ne fece Togliatti nella costruzione, dopo la caduta del fascismo e negli anni del secondo dopoguerra, dell’identità del partito comunista italiano come “partito nuovo”. Un uso dell’eredità culturale e politica, è del 1950 la costituzione della Fondazione Gramsci e la progressiva edizione degli scritti a partire dai Quaderni del carcere, che dava un’importanza particolare, non senza contraddizioni, al mondo intellettuale, operando la rottura col vecchio liberalismo crociano.

Fu lo stesso Togliatti che nel 1964 sottolineò come Gramsci fosse un pensatore tanto grande che il suo lascito andava al di là dello stesso Partito comunista e della vicenda del comunismo del suo tempo. Un lascito che è stato ed è conteso da più punti di vista, non mancando il riproporsi di vecchie polemiche e anche assai discutibili interpretazioni, come rilevato da Guido Liguori nel suo Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche 1922-2012.

I contrasti interpretativi però, possono essere anche un segno di fecondità e al tempo stesso uno stimolo ad approfondire ulteriormente l’esame di un pensiero ricco. L’attualità della propria riflessione, della propria ricerca era presente allo stesso Gramsci. In una lettera del 13 marzo 1927, prigioniero nelle carceri fasciste, informa la cognata Tania Schucht di voler iniziare una serie di ricerche che lo occupino «intensamente e sistematicamente» assorbendo e centralizzando la sua «vita interiore».

Scrivere “für ewig” (per l’eternità) significa non esaurire la funzione della scrittura nella immediata contingenza della lotta politica, ma affrontare, con tutta l’ampiezza concessa dalla vita carceraria e con la radicalità necessaria, gli argomenti di maggior interesse per intendere il presente. Una strategia di pensiero e di scrittura improntata ad un carattere mobile, aperto, antidogmatico, maieutico. Dunque, potrebbe domandarsi un giovane del terzo millennio, il suo metodo, le sue intuizioni sono ancora utili oggi in un mondo ancora “più grande e terribile” di quanto fosse ai suoi tempi?

Le sue idee-forza: egemonia, rivoluzione passiva, senso comune, ideologia, società civile, cesarismo, non solo sono utili per ripensare il ruolo del passato nel mondo d’oggi, (si pensi alle sue riflessioni sul Risorgimento come “rivoluzione passiva”) ma hanno visto incrementarsi il loro uso nel pensiero politico-sociale della cultura internazionale. È il Gramsci fortemente critico contro ogni traccia di “economismo” e “riduzionismo” della complessità che è stata presente in tante letture del marxismo. In un tempo in cui imperversano nuove mitologie come gli algoritmi, le post verità, l’ideologia del tramonto delle ideologie, non avremmo forse bisogno delle sue intuizioni per smascherare quella presunta oggettività che diventa “senso comune”?

Per Gramsci il senso comune diventa credenza popolare che per essere modificata ha bisogno di un lavoro continuo di educazione politica e di politica culturale, e di realizzare una “connessione sentimentale” tra dirigenti e diretti. «La coerenza di un’ideologia dipende dalla sua elaborazione filosofica specialistica, ma la sua coerenza formale non le garantisce una efficacia storica, che si realizza solo quando le correnti filosofiche entrano nella coscienza pratica quotidiana, o nel pensiero popolare delle masse, contribuendo a trasformarli o a modificarli, insomma quando divengono senso comune».

Al di là di ogni disputa interpretativa, il cervello a cui il fascismo voleva impedire di funzionare, sta conquistando nuovi territori; da poco è stato ad esempio tradotto in Cina, inizia a essere studiato nei Paesi dell’Europa dell’Est, dove non era stato molto amato durante il socialismo reale: ventimila titoli in 41 lingue, registrati dalla bibliografia gramsciana. Il suo studio e il suo “uso” sono ripresi anche nel nostro Paese; penso a chiavi di lettura come quella di Noemi Ghetti, La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924, e quella di Massimiliano Panarari, L’egemonia sottoculturale: l’Italia da Gramsci al gossip.

Di questi giorni il volume su Gramsci giornalista, Il Giornalismo, Il Giornalista. Scritti, articoli, lettere del fondatore dell’Unità a cura di Gian Luca Corradi e quello di Giuseppe Vacca, Modernità alternative. Il novecento di Antonio Gramsci.

Quest’anno sarà un’ulteriore occasione di riflessione, di lettura e di ricerca, sicuramente di nuovi progetti, penso al ruolo della Fondazione Gramsci, della Casa museo di Ghilarza e dell’International Gramsci Society. Insomma sentiremo ancora molto parlare di lui, un pensatore modernamente mediterraneo, regionale, nazionale, internazionale, tanto da divenire anche un’icona pop, come il Gramsci Monument nel Bronx. L’auspicio è che possa divenire un classico da studiare nelle scuole.

22 aprile 2017

Leggi QUI l’articolo originale