ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO STORIE

La città flessibile sognata dal re dei gitani

Ho incrociato la storia del re degli zingari un po’ di tempo fa grazie ad una bella mostra alla Triennale, curata da Massimiliano Gioni, Terra Inquieta, dedicata al tema dei temi della contemporaneità, le migrazioni. Ignoravo questa vicenda che incrocia la provincia profonda piemontese con il suo accento dolce e strascicato, il nomadismo zingaro e la rapida epopea del situazionismo, il movimento radicale politico-artistico fondato 60 anni fa (28 luglio 1957) che tanto piacque al maggio francese e ai sessantottini.

Una storia che torna sorprendentemente di attualità all’epoca del Governo della Paura e dei Porti Chiusi, dei Censimenti rom e del grilletto facile. Il protagonista è una specie di sovversivo mite che ha il volto segnato e buono, per nulla maledetto, di Pinot Giuseppe Gallizio, vita intensissima e breve per colpa di un infarto (1902-1964), nato e vissuto ad Alba, farmacista, produttore di caramelle, archeologo, erborista, partigiano, consigliere comunale, democristiano, comunista, attivista, che superati i 50 anni si scopre artista e pittore e inventa tra le altre cose la pittura industriale, ossia rotoli di tela dipinta che lui vende a metro per smontare l’idea commerciale e elitaria dell’arte. Molto apprezzato dalla critica Carla Lonzi, è stato un protagonista fulminante di una stagione artistica di cui si è persa per strada la memoria.

La cantina di casa sua ad Alba, battezzata Laboratorio Sperimentale, diventò per qualche anno catalizzatore di personaggi che incrociavano il movimento lettrista, il gruppo Cobra, il Bauhaus immaginista, poi confluiti nell’internazionale situazionista (IS), come Guy Debord, l’autore del libro manifesto La società dello spettacolo, il danese Asger Jorn, Enrico Bay, Constant, Piero Simondo, Pegeen Guggenheim, figlia di Peggy. Tutti nettamente più giovani di lui, alcuni poco più che ragazzi, ai quali il farmacista Gallizio si avvicinò con entusiasmo infantile.

Tra le sue mille passioni Gallizio aveva anche quella per il nomadismo e quindi, con la coerenza e il candore del personaggio, per i nomadi in carne ed ossa che attraversavano il corridoio tra Francia e Italia, lo stesso confine che oggi i migranti in ciabatte cercano di varcare in montagna. Un luogo di sosta era appunto Alba dove le carovane si accampavano vicino al mercato. Quando il sindaco conservatore li cacciò a metà degli anni ‘50 Gallizio semplicemente regalò ai sinti un suo terreno lungo il Tanaro perché costruissero il loro campo, che poi si chiamò campo Pinot Gallizio.

Della sua battaglia vicino alle “tribù” in consiglio comunale e fuori restano diverse fotografie e una sorta di tazebao che Pinot esponeva sulla vetrina della farmacia intitolato: «L’uomo è sempre l’uomo. È iniziata la grande battaglia per la sosta degli zingari» e in cui si ipotizza per lui la possibilità di diventare «il gran capo di più di 1.200.000 zingari».

Una foto famosa lo ritrae con due enormi orecchini da zingara indossati orgogliosamente e che gli guadagnarono l’appellativo tra gli albesi perplessi di re degli zingari. Non è tutto, naturalmente, perché Gallizio, da bravo situazionista, l’intreccio tra arte e politica per creare “situazioni” lo prendeva sul serio: alla Triennale si è visto anche il modellino ideato da Constant Nieuwenhuys, artista e architetto olandese, che ispirò la sua ricerca su New Babylon, l’anti-città paradossale pensata per la nuova umanità nomade, l’homo ludens liberato da ogni schiavitù, compresa quella della sedentarietà. Quale terreno di sperimentazione migliore di un’idea così radicale e folle, della progettazione di un campo nomadi?

Immaginiamoci quindi Constant, che nel 1956, invitato da Gallizio, visita il campo sinti di Alba realizzato sul terreno del farmacista- pittore. Racconta: «Di quello spazio tra le roulotte, che avevano chiuso con tavole e bidoni di benzina, avevano fatto un recinto, una “Città dei Gitani”. Quel giorno ho concepito il progetto di un accampamento permanente per i Gitani di Alba e questo progetto è all’origine della serie di maquettes di New Babylon. Di una New Babylon dove si costruisce sotto una tettoia, con l’aiuto di elementi mobili, una dimora comune; un’abitazione temporanea, rimodellata costantemente; un campo nomade su scala planetaria».

Il modello rimase tale, la città nomade un’utopia visionaria e il campo nomadi Gallizio fu poi spostato, anche a causa delle ricorrenti piene del Tanaro. Ma oggi con 68 milioni di profughi accertati nel mondo, l’idea di una città flessibile, che invece di escludere alla periferia l’umanità errante si ispira al modello zingaro di un «abitare in movimento» per proporre una nuova idea di spazio urbano fluido sembra ancora più suggestiva. E forse urgente.

Una versione dell’articolo è stata pubblicata da “Cultweek” il 25 luglio 2017

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