LA DATA

14 marzo 1847

Su libretto di Francesco Maria Piave che, non senza difficoltà, forza il ribollente magma shakespeariano in quattro articolati atti, debutta al Teatro della Pergola di Firenze il Macbeth di Giuseppe Verdi.

Nonostante il successo fiorentino, il maestoso tributo del Maestro, che rimase devoto al Bardo tanto da chiamarlo familiarmente “Papà Guglielmo”, cadde nel dimenticatoio per oltre un secolo, fino al 7 dicembre 1952, quando fu riproposto con strepitoso successo al Teatro alla Scala, con Maria Callas nei panni della perfida Lady, diretta dalla bacchetta di Victor de Sabata. La Rai si lasciò sfuggire allora l’occasione di trasmettere quel gruppo di recite (dopo la prima ancora in scena 9, 11, 14 e 17 dicembre) in diretta radiofonica e l’esecuzione del ruolo completo restò unica nella carriera della Divina, anche se naturalmente esiste una registrazione live dell’opera che, rimasterizzata, è stata recentemente proposta dalla Warner in un grande cofanetto con alcune delle più celebri esibizioni dal vivo del soprano.

Al netto della leggenda che vorrebbe Verdi indicare una “voce brutta” e sgradevole per interpretare la sua eroina, le cui movenze avrebbero dovuto essere striscianti come quelle di un demone, la timbrica metallica e piena, talvolta intubata della Callas si rivelò perfetta per incarnare quel misto di crudeltà e passione, fragilità e smodato desiderio di potere che caratterizza il personaggio delineato da Shakespeare. Il cui racconto, ambientato nella lontana Scozia dell’XI secolo, cara ai patrioti contemporanei di Verdi per i suoi aneliti di liberazione dal giogo inglese (Patria oppressa, intonato dai profughi nell’atto IV, è uno dei cori più celebri), prende come si sa le mosse dalla profezia delle tre streghe incontrate dal protagonista nella brughiera e dai loro oscuri giochi di parole.

La fatale catena di omicidi messi in atto dalla coppia diabolica per ottenere il promesso trono e mantenerne il controllo (nell’ordine: il re Duncan ucciso nel sonno, le guardie assassinate perché non proclamino la loro innocenza, il nobile Banco, la moglie e i figli del barone McDuff) conduce Lady Macbeth alla follia: celebre la scena del sonnambulismo in cui tenta di togliersi un’invisibile macchia di sangue dalla mano, cantando l’aria Una macchia è qui tuttora, sempre nell’atto IV. Da parte sua Macbeth, accecato dai sibillini responsi delle streghe che è tornato ad interrogare, sfida senza timore il rivale McDuff convinto che “nessun nato di donna” lo potrà sconfiggere (non sa che il barone è stato strappato al ventre materno anzitempo con una sorta di parto cesareo); mentre “il bosco di Birnan” effettivamente muove verso Dunsinane in quanto i soldati fedeli a McDuff si sono camuffati dietro i rami degli alberi di quella foresta. Sconfitto e decapitato, il re traditore preannuncia la sorte di Carlo I Stuart, condannato a morte nel 1649 per tradimento al termine di una lunga Guerra Civile.
Innumerevoli le edizioni, in teatro e al cinema, nonostante la superstizioni che circondano The Scottish Play, come preferiscono chiamarlo gli attori inglesi, convinti che recitare i brani contenenti le parole delle streghe o pronunciare il nome dell’opera porti sfortuna: in quest’ultimo caso, l’attore che avesse incautamente pronunciato la parola proibita in teatro, deve uscire dall’edificio, ruotare su se stesso per tre volte, sputare da sopra la propria spalla sinistra, recitare una battuta di un altro dramma shakespeariano, infine bussare alle porte del teatro e aspettare di essere autorizzato a rientrare.

Sul grande schermo è recentemente apparsa la grandiosa e fosca produzione britannica con Michael Fassbender e Marion Cotillard, per la regia di Justin Kurzel. A teatro, ricordo ancora con profonda commozione la messa in scena visionaria firmata dal grande regista lituano Eimuntas Nekrosius, ormai diversi anni orsono al “Metastasio” di Prato, al termine della quale le tre streghe, arrampicate su trespoli a mo’ di uccelli del malaugurio, intonavano con voci dolcissime un potente Miserere, mentre un occhio di bue puntava direttamente sul pubblico, per gran parte in lacrime.
Si chiama catarsi e qualcuno, fra i contemporanei, è ancora capace di indurla.