LA PAROLA

Cravatta

È il capo d’abbigliamento maschile per antonomasia, le donne la indossano soltanto per trasgressione o per moda passeggera o per sottolineare il proprio orientamento sessuale. Oggi è anche uno dei più inutili: non serve a coprire, né a riscaldare, ma è un segno di distinzione. In origine, invece, doveva avere anche una funzione specifica: quella di trattenere il sudore e la polvere per i soldati di ventura croati che indossavano fazzoletti legati intorno al collo durante la Guerra dei trent’anni, nella prima metà del Seicento. I francesi adottarono la sciarpa dei croati chiamandola cravate, cioè un adattamento della parola croata hrvat che significa per l’appunto “croato”. Dal francese cravate deriva l’italiano cravatta, quella striscia di stoffa mediamente di 150 cm di lunghezza che viene fatta passare sotto il solino della camicia e poi annodata in vari modi.

A lanciare la moda della sciarpa alla croata fu Luigi XIV, il Re Sole, che fin da bambino prese il vezzo di indossare foulard stretti al collo con nodi e fiocchi in tessuti preziosi o pizzi. Da qui la diffusione dell’ornamento tra uomini e donne dei ceti nobiliari. Nei secoli si sono diffusi modi nuovi di indossarla e fogge diverse.

La cravatta ha anche un suo codice preciso. Con “cravatta bianca” (oppure white-tie), per esempio, nel dress code internazionale si intende un abbigliamento di estrema eleganza che non può prescindere da frac e gilet bianco. L’indicazione, su di un invito, di “cravatta nera” (o black-tie) impone un look da gran sera con smoking, camicia bianca con gemelli, scarpe nere lucide e cravatta per l’appunto nera in seta. La cravatta monocolore – nera, rossa, azzurra o verde – può indicare un preciso orientamento politico ed essere un modo per comunicare con gli elettori. La cravatta Regimental è tinta unita con strisce oblique di un colore diverso e ha origine nel mondo anglosassone per contraddistinguere un club, un reggimento o un campus universitario. In Parlamento un uomo non può entrare senza cravatta, mentre è proibito usarla per chi svolge lavori manuali nei quali può rappresentare un pericolo per la sicurezza di chi la indossa.

Un rito tutto italiano, e per fortuna in declino, è il taglio della cravatta dello sposo da parte degli amici durante il ricevimento nuziale. Ridotta in piccoli pezzi, questi vengono poi distribuiti tra gli invitati in cambio di un’offerta in denaro da destinare agli sposi. Il taglio della cravatta è anche un rito goliardico che vige in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Aeronautica Militare.

Esistono molteplici varietà di nodi per la cravatta (pare ve ne siano ben 85) e anche quello basic richiede una certa manualità e un po’ d’esercizio per essere realizzato. Alcune fogge prendono il nome dai loro inventori: il voluminoso nodo alla Windsor, per esempio, dal duca di Windsor che lo sfoggiava negli anni Trenta del Novecento, mentre la cravatta alla Lavallière – svolazzante o annodata a farfallino, tanto amata da anarchici, repubblicani e artisti di fine Ottocento – prende il nome da una donna, Louise de la Vallière, favorita di Luigi XIV.

La cravatta è anche un simbolo fallico e il nodo rivelerebbe molto sulla sessualità di chi la indossa. Allacciata da una donna al collo di un uomo è un modo per marcare il terreno; se il gesto è quello di slacciarla è un invito inequivocabile. Resta uno dei regali più gettonati nelle ricorrenze da parte di donne con poca fantasia.

“Una cravatta bene annodata è il primo passo serio verso la vita”, scrive Oscar Wilde ne La fortuna di chiamarsi Ernesto.

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