LA PAROLA

Lavoro

Presuppone un dispendio di energie fisiche o intellettuali. Lo rivela l’etimologia della parola: dal latino labor, che significa letteralmente “fatica”. Labor omnia vicit improbus, scriveva Virgilio nelle Georgiche. Cioè: l’intensa fatica vince tutte le difficoltà. Del resto, in alcuni dialetti meridionali faticare è sinonimo di lavorare. Secondo la Treccani, in senso lato è «qualsiasi esplicazione di energia volta a un fine determinato», mentre in senso più ristretto è «attività umana rivolta alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale».
Chi lavora acquisisce uno status ambìto: quello di occupato, di chi produce qualcosa traendone un salario. Al contrario il disoccupato, chi non lavora, rischia di essere un paria o di diventarlo.
Se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, la sua perdita può equivalere alla perdita dell’identità. Compare nell’articolo 1 della Costituzione, che recita: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro». Dunque rappresenta le fondamenta, i pilastri della nostra democrazia. Ma la Costituzione sancisce che è anche un diritto e un dovere (art. 4), che deve essere tutelato in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35), che deve essere retribuito equamente (art. 36) anche per le donne (art. 37).
Oltre che dal Codice Civile, è normato dallo Statuto dei lavoratori, cioè la legge 300 del 1970. Può essere autonomo, subordinato o parasubordinato. Quello minorile e quello nero sono vietati, ma diffusi.
Ora et labora, cioè “prega e lavora”, dicevano i monaci benedettini. Oggi, con il mordere della crisi, si prega per poterlo avere, il lavoro.

Tags