LA PAROLA

Serietà

La serietà è semplicemente «l’essere seri», ma, spiega il Vocabolario Treccani, «nei varî significati dell’aggettivo, riferito a persone».

È dunque la parola serio – con cui ha intima attinenza, quasi a dire che lo si dev’essere, prima d’averla – che va presa in considerazione per riferirne.

Nel dizionario dei sinonimi e dei contrari serio vien contrapposto a “gaio, gioviale, sorridente, spensierato”, intendendosi con tal parola derivata dal latino serius colui «che ha o rivela austerità, severità e simili», vale a dire appunto un “austero, grave, severo”, e di qui “serioso, solenne”, ed anche “pensieroso”.

Niente di più falso, giacché anche il serio è in grado di divertirsi e sorridere, di scherzare e godersela, ma preservando lo scrupolo di farlo tenendo la testa accesa, avendo, come direbbe Thich Nhất Hạnh, “presenza mentale”.

Non è forse ilare, ridanciano, forse nemmen gioioso, mantenendosi sul volto un tratto cupo, quel cipiglio corrucciato di chi sta riflettendo su qualcosa ed ha un dubbio da sciogliere, non s’accontenta della risposta ottenuta, perché in effetti, come specifica quell’oracolo della lingua italiana, è «capace e desideroso di assolvere i propri doveri e gli impegni assunti». Strada per la quale, stando ai sinonimi, è “affidabile, coscienzioso, responsabile” ed anche “fidato, scrupoloso”.

C’è un altro significato che lo definisce colui «che ha un’abituale rettitudine», e dunque lo si può usare al posto di “onesto, probo, retto, virtuoso”, quindi “irreprensibile”, “costumato” e di contro “disonesto”, “dissoluto, vizioso” o anche solo “fatuo, frivolo, leggero”.

Una circostanza, una situazione o un fatto seri sono quelli che rivelano gravità e vanno dall’essere “importanti, rilevanti”, all’esser “brutti, gravi, inquietanti, preoccupanti”.

Si dice «sul serio» per dir che non si scherza e si vuol esser presi in considerazione, per richiamare un’attenzione altrimenti flebile, superficiale, distratta. Vale anche per “in realtà, per davvero, senza scherzi, veramente, fuor di burla”. C’è l’espressione «tra il serio e il faceto» quando si dice qualcosa scherzosamente ma mettendoci del vero, non nascondendo una verità.

Il sèrio, spiega ancora la Treccani, è colui «che ha o rivela impegno, ponderatezza, attenta considerazione, pacata gravità», ma la precisazione che sia chi ha «comunque un atteggiamento opposto o lontano da qualunque scherzo e ilarità» appare un po’ forzata.

Aggiunge: è colui «che ha e riflette un’abituale rettitudine, capacità e volontà di assolvere i proprî doveri e gli impegni assunti», come quando si dice «è un uomo serio di cui ti puoi fidare». Ed ancora: «che riveste particolare importanza e validità e comporta quindi impegno e responsabilità», come nel caso degli “studî seri” o dei “seri propositi”. Un sentimento serio è “sincero, profondo” e l’aggettivo lo si usa «di qualsiasi cosa che è in sé importante, ardua, grave e pericolosa, specialmente per le conseguenze che può avere, e va quindi presa nella dovuta considerazione».

La serietà, che da tutto ciò deriva, è una scommessa con se stessi. Saperla vincere fa dire come il poeta: «Confieso que he vivido».

Chi scrive, infine, ha grande affezione a quanto gli scrisse Primo Levi il 24 marzo 1986 rispondendo ad una lettera che accompagnava il racconto Sempre più verso Occidente, tratto dal suo Verso occidente, che dà il titolo all’omonimo libro pubblicato da Baskerville nel 2009, dove compare il tema della serietà: «Lei ha preso molto (troppo!) sul serio un mio racconto di cui oggi mi vergogno un poco, perché l’ho scritto in un momento di angoscia e di debolezza, e perché, invece di essere d’aiuto all’eventuale lettore, rischia di estendere a lui il disagio dell’autore. Se così è avvenuto, accetti le mie scuse; oggi penso che spargere al vento le proprie angosce possa portare sollievo a chi lo fa, ma sia poco morale».

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