DIALOGARE IN PACE VISIONI

Lassù sugli alberi, finalmente,
c’è giustizia

La tribù degli Zo’è, un gruppo etnico nella foresta a nord del Brasile, dirime le divergenze con un rituale: i contendenti salgono su un albero e discutono finché non si trova un accordo. Una riflessione di Beppe Ceretti sulla perdita del senso della giustizia e sulla necessità di cercarla "alle origini"
foto Sebastião Salgado
dalla mostra “Zo’è – I figli della foresta”

Sarà per via dell’età che avanza, ma mi pare che il mondo vada a rovescio. È come se scoprissi ora la mancanza di giustizia, la perdita nella nostra società del suo senso profondo e avverto un indicibile smarrimento. Si ha soltanto la percezione che i cittadini, nonostante la ricchezza dei mezzi d’informazione, sappiano un decimo o poco più di quel che veramente accade, nascosto nelle menti di una microscopica oligarchia. Prevalgono contraddizioni e ambiguità che non dovrebbero esistere in un momento tanto difficile della vita delle nazioni.  Qui da noi sembra tutto appiattito, carente di passione, anche in chi potrebbe permettersi di averla. Il gioco ben guidato della normalizzazione, degli annunci quotidiani smentiti dalla mattina alla sera, delle promesse non mantenute, continua come se nulla fosse accaduto. Il silenzio è nemico della libertà. Quant’è complicato tenere aperte le finestre sul mondo, quelle che per paura di vedere e di sentirci responsabili teniamo chiuse.

Ho letto chissà dove che il 46% dei territori della terra è ancora vergine. Il grande fotografo brasiliano Sebastiao Salgado racconta di aver vissuto per qualche tempo nella foresta a nord del Brasile, il suo Paese, con la tribù degli Zo’è, un gruppo etnico con il quale si è entrati in contatto per la prima volta nel 1987. Non conoscono la rissa e ogni divergenza viene appianata con un rituale: i contendenti salgono su un albero e discutono finché non si trova un accordo. Una nuova acuta consapevolezza coglie chi visita quei luoghi: il mondo alle sue scaturigini è giusto.
Salgado e altri, pochi, uomini di buona volontà hanno l’enorme pregio di farci capire quanto sia importante ascoltare e rispettare la terra.

La giustizia alle origini dell’universo, dunque. Dovremmo anche noi salire sugli alberi della vita e osservare le nubi che possono trasformarsi in temporali, ma decisi a cercare giustizia. Avverto un fastidio crescente nei confronti di chi si attacca ai dettagli critici, mancando di capacità e costanza, contro coloro che hanno concretezza e sono in cammino, pur con i loro limiti. Ancor più, avverto sdegno nei confronti di chi lede i diritti. Dante, nel profondo dell’inferno, nella bocca stessa di Lucifero, non mette Caino che ha ucciso il fratello, ma i traditori, Bruto e Giuda. Non tradimenti amorosi, ma dell’amicizia e della fiducia. Con loro, nel fuoco eterno, finiscono pure gli scialacquatori, i violenti contro i loro beni.

Quelle anime nude, che scappano e si graffiano contro i rami spezzati, sono oggi coloro che giocano a vuotare la dispensa che è di tutti, che gettano l’immondizia nella casa del vicino per tenere pulita la propria casa. Che ci resta da fare? Dobbiamo dare risposte alte, non necessariamente nuove o spregiudicate che determinino una discontinuità. Un imprevedibile nuovo Umanesimo o nuovo Rinascimento. Che dice costui? Sento già i barellieri del vicino ospedale battere alla mia porta. È tempo che apra la porta e finga di essere sano.

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