IDEE MEMORIE VISIONI

Le Utopie di Bruno Schacherl

Per ritornare su certe parole, seppur fondamentali per la storia del pensiero e dell’umanità, occorre comunque un buon motivo, tanto più che su TESSERE di utopia si è già parlato, lo ha fatto Luigi Chicca in un bell’articolo che potete leggere qui. Il buon motivo è in un vecchio foglio di carta ingiallita stilato a mano, probabilmente di una sessantina di anni fa, di pugno di un intellettuale comunista, giornalista e critico teatrale che si chiamava Bruno Schacherl. Non so se questo foglio contenesse un articolo, magari pubblicato sul “Nuovo Corriere di Firenze”, o più probabilmente su “L’Unità” – entrambi giornali per i quali Schacherl ha lavorato. Vale comunque la pena di leggerlo e pensarci su, a molti anni di distanza e in un momento storico come quello attuale, in cui gli intellettuali che si affacciano fra le righe dei giornali dondolandosi magari sull’amaca propugnano candidamente come “idee” quei luoghi comuni di cui si può parlare sull’autobus, pour parler, oppure tornano agli antichi refrain dei loro padri, le cui opinioni hanno pur contestato in gioventù. Ma si sa, i corsi e i ricorsi storici non ci possono stupire più di tanto e la realtà tende sempre a superare la fantasia. Anche per questo siamo tutti orfani di intellettuali come Schacherl, disposti all’ascolto e al confronto, mentre andiamo alla ricerca della profondità di pensiero e di linguaggio perdute fra le pieghe delle parole di oggi, povere e rabbiose.

Utopie

BRUNO SCHACHERL

Ci sono delle vecchie idee che fanno parte del vocabolario comune, che sembrano ormai a disposizione di tutti, ma che nessuno ha più il coraggio di affermare in pieno, perché l’opinione pubblica le ha, una volta per sempre, classificate come utopie. Ed è caratteristico che queste idee (o meglio diremo ideologie, perché non si tratta di particolari punti di vista, ma di visioni le più generali possibile) sono proprio quelle di cui ci si vale, tutti, più o meno larvatamente e ipocritamente, quando si vuol parlare di questioni morali. E per uscir dal vago, ne enumero senz’altro alcune: – ossia alcuni di quegli ismi che oggi pare non si possano pronunziare senza una sfumatura di distacco, se non addirittura di disprezzo. Il pacifismo. L’internazionalismo. L’umanitarismo. L’egalitarismo. E via via, insomma tutte quelle teorie il cui punto di partenza non è una condizione, così si dice, attuale, reale dell’uomo, ma soltanto una sua situazione teoricamente possibile. Giacché esistono (o esisterebbero) delle ideologie che svelano chiaramente la loro origine naturale, storica, e altre che invece vanno al di fuori della storia e contro la storia, perché appaiono nate da qualcosa di irreale, da un sogno campato in aria. Per esempio, siamo disposti a perdonare al nazionalismo tutte le sue aberrazioni, parlando puta caso di un nazionalismo ben inteso e risputando fuori bella e riverniciata a nuovo l’etichetta patria; o se questa non ci soddisfa più perché troppo logora e macchiata dall’uso, inventando programmi e statuti federativi, cioè super-nazionalisti; siamo disposti magari a porci sullo stesso piatto dello sciovinismo, concentrando su di esso il nostro odio (l’odio non è forse un sentimento che può correre solo da pari a pari, come l’amore?); ma non acconsentiremmo mai a dichiararci apertamente internazionalisti, perché ci parrebbe di fare un salto nel vuoto, costituito in questo caso dalla derisione dei più. Così pure, – peste ai guerrafondai, – gridiamo: e, – la guerra, quando è giusta, si deve fare, – aggiungiamo. E in questo siamo più che equi, umani, quando ci riferiamo a ciò che è e non ciò che deve essere. Ma non abbiamo il coraggio di dire: – basta con tutte le guerre! – Tutt’al più ci limitiamo a mormorare: – come sarebbe bello se si stesse sempre in pace! – e poi concludiamo tristemente: – la guerra c’è stata da quando esiste il mondo, dunque…

La realtà, a dire il vero, ci incalza e ci stringe da tutte le parti, e ahimé tanto che ci riesce ormai difficile alzare gli occhi più in là del nostro naso. Ora nessuno, ed io meno che mai, intende difendere le cosiddette utopie: la parte dell’ avvocato delle cause perse è dolorosa oltre che ingrata. Ma voglio semplicemente richiamare l’attenzione sull’assurdità di convogliare in un unico risolino di scherno tanto i sogni di chi cerca la pietra filosofale o inventa l’esperanto, quanto quelle idee che sono come i segni indicatori delle più sublimi aspirazioni dello spirito umano. Se ben si riflette, tutto il parlare dell’uomo è composto di astrazioni e di simboli. Io dico: un sasso, e il nome fa da intermediario tra ciò che è il sasso per me e ciò che esso è per chi mi ascolta, le quali sono due forme sempre completamente diverse. Il mio sasso non è il tuo, ma il nome sasso fa sì che quando io vedo e penso al mio sasso tu possa vedere e pensare al tuo. E così nel campo morale: se dico “il Bene” voglio indicare quella particolare tendenza, quella sete della mia anima; ma nello stesso tempo produco in te che mi odi, un ritorno, una chiarificazione di quella stessa tendenza, se c’è in te. La verità è che l’uomo qui ha paura di se stesso, e quando una parola mette a nudo in lui un’aspirazione troppo alta, si ritrae, sa che lasciandola libera di agire non lo attende che sofferenza e tristezza. Non è questione di realizzare o di non realizzare, si tratta di realtà del tutto interiori, nostre, e che nessuna postuma conferma potrà far essere più o meno. Polarizzarci tutti verso una mèta più alta di noi stessi, pare un assurdo: semplicemente perché una scienza qualsiasi ci può dimostrare l’inesistenza positiva di tale mèta. La scienza ci dice: la guerra è necessaria. E va bene. Ma perché impedire a noi stessi di desiderarne la scomparsa? La scienza, in fondo, si limita a dare i modi della realtà e i mezzi per agire su di essa; ma la meta profonda a cui dobbiamo tendere, da un’altra voce la aspettiamo, dai movimenti più grandi e aperti della nostra anima. Diciamo un nome, è un’utopia ma intanto esso lavora, scava in noi e negli altri un solco, inizia un progresso. A questo punto chiederemo alla scienza i mezzi: accetteremo, ma questa volta con piena convinzione, anche la guerra per cercare la pace, anche l’odio per cercare la fraternità. Non si raggiungeranno mai? Che importa! Ciò che conta è cercare.