LA PAROLA

Malgrado

È una bella parola – purtroppo non troppo usata nella sua forma di locuzione prepositiva, laddove ha un significato analogo a nonostantemalgrado che chiaramente è in origine composta di due parole, malo e grado.

Così espressa, staccando nella grafia i due termini, mal grado, a dire propriamente “cattivo gradimento”, viene impiegata tanto come sostantivo quanto come avverbio, e nel primo caso sta a significare “dispiacere”, come la impiega Boccaccio scrivendo «io riavrò colei che è meritatamente mia, mal grado che voi n’abbiate».

Nel secondo, invece, unita ad un aggettivo possessivo, forma una locuzione avverbiale: mio malgrado, tuo malgrado, ed anche a mio malgrado o raramente, mal mio grado, e così via, indicando ora “a dispetto”, “contro la mia, tua, sua volontà”: «mio malgrado dovetti riceverlo e dargli ascolto»; «fu costretto, suo malgrado, ad obbedire». Come a dire «benché non ne avessi voglia, finii per riceverlo e dargli ascolto», «quantunque non volesse, non potette non obbedirgli».

È insomma contro voglia, avvertendo un fastidio, un disagio, una spinta contraria, una opposizione. Per questa via, diventa – seguita da un sostantivo, o da che e da un verbo al congiuntivo – una locuzione prepositiva che ha appunto il valore di nonostante, che esprime una congiunzione concessiva: «si esce “malgrado” il cattivo tempo, “nonostante” il cattivo tempo». «Si ascolta una storia, “malgrado”, “nonostante” già la si conosca». «Lo si accompagna “malgrado”, “nonostante” sia già molto tardi».

Storcendo la bocca, dunque, recalcitrando, fatte tutte le considerazioni del caso, tuttavia si fa. Condizione costante, frequentissima. That’s life: questa è la vita. Di buon grado.

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