DAILY LA PAROLA

Martire

Martire, dalla parola greca per "testimone", colui che testimoniava la propria fede classica con il sacrificio più grande: la morte.

Martire deriva dalla parola greca mártys-yros, testimone, ed è infatti dal mondo del cristianesimo ellenico e mediterraneo che questo archetipo si è formato. Il martire testimoniava la propria fede contro la forza delle istituzioni e della cultura classica con il sacrificio più grande: la morte.

Il suo annientamento era una ripetizione del supplizio della croce del Redentore, e quindi una testimonianza ulteriore della sua veridicità; così Pietro e Paolo trovarono la loro redenzione finale. Ogni altro cristiano morto per professare la propria fede né è stato un testimone: ecco da cosa deriva il verso senso di martire presente nel nostro immaginario collettivo.

Il termine è stato applicato poi a chiunque abbia dato la vita o sofferto per una causa o un’idea politica o anche la libertà del proprio popolo. Alcune persone hanno mosso critiche, hanno cercato di svilire o ridimensionare l’idea di un trionfo che nasce della propria sconfitta personale: dopotutto, l’idea del martire non è forse anti-intuitiva per il senso comune? Si immagina che la vittoria possa arridere a chi invece domina o vanifica il nemico. Ma la capacità di poter frustrare e negare sé stessi in nome di un’idea, consumarsi, svanire nel dolore nella polvere, per poi provocare la ricomparsa carsica della propria fede nei cuori di milioni di fedeli, capaci di farsi Chiesa e poi esercito, non è forse un effetto di potenza, anche se nato da una frustrazione?

Gli innocenti imprigionati e torturati sotto l’Impero Romano sono forse gli avi dei Crociati? O si tratta di genealogie diverse, mosse in realtà da ethos differenti? Il fatto che un’idea di salvazione egualitaria abbia generato altri afflati aristocratici è stato già lunga materia di discussione su cui varrebbe di sicuro la pena interrogarsi e ricerca in sede pregna.

Nei tempi più recenti, però, si è provato ad accostare la parola martire anche alle vittime di genocidi o disastri colposi, producendo un corto circuito logico: la professione di fede di un martire è sempre stata attiva, ma si può definire martire qualcuno che patisce per colpa di una colpa altrui o per via del fatto che una ideologia politica lo ha classificato come nemico, mentre egli stesso non era a conoscenza neanche di tale sistema e delle sue regole?

Da questo ragionamento si potrebbe concettualizzare un martire praticamente immanente, che deve patire non per una scelta, per una condizione forse neanche conscia a lui stesso, come il fatto di essere considerato un untermensch o un nemico del popolo o un nemico della libertà, o chissà cos’altro.

Il rovescio archetipico del martire sarà sempre l’inquisitore.