LA PAROLA

Marziano

La definizione data dal dizionario Garzanti del termine marziano – relativo al pianeta Marte 1. si dice di ipotetico abitante di Marte; extraterrestre; 2. si dice di chi ha capacità o caratteristiche strane, fuori del comune – espone subito i due significati per cui questa parola (in tempi antichi attestata anche come nome proprio: si contano due San Marziano), viene utilizzata: indicare la più “generica”, per vicinanza geografica, eccezionalità di una forma di vita extraterrestre; oppure descrivere un individuo eccezionalmente pittoresco, o dotato di capacità o atteggiamenti che mettono in dubbio l’incredulità altrui.

Chi ha lanciato i marziani nel panorama contemporaneo, dove hanno superato in fama e canonicità seleniti o venusiani, in quanto stereotipo dell’alieno extraplanetario? Ci sono tre responsabili: l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, il romanziere Edgar Rice Burroughs ed il più celebre romanziere Herbert George Wells.

Il primo, un eminente studioso italiano già celebrato per altri importanti lavori sui moti delle stelle, pubblicò nel 1893 un lavoro in cui speculava, a partire da alcune osservazioni sulla superficie di quel pianeta, sul fatto che esso potesse ospitare una forma di rete fluviale preistorica, influenzata da un ciclo stagionale, capace di alimentare falde acquifere e probabilmente forme di vita; nell’edizione inglese la parola italiana “canali”, che Schiaparelli aveva impiegato per indicare corsi di acqua naturale, fu tradotta impropriamente con canals, termine che suggerisce formazioni di carattere artificiali. Nel mondo anglosassone l’errore aprì i lavori seri di Schiaparelli sul pianeta rosso, carburante alle più fantastiche speculazioni, in un età dove l’irrazionale era divenuto moda della borghesia e dell’informazione spicciola aperta anche al popolaccio alfabetizzato, nelle forme dello spiritismo, della teosofia e dei giornaletti. L’americano Percival Lowell esportò le ricerche schiaparelliane avvalorando un’interpretazione balzana che richiama la teoria dell’antica civiltà ormai estinta.

Lo scrittore Edgar Burroughs è ricordato al giorno d’oggi per l’immortale Tarzan, ma a dargli una certa fama (e a salvarlo dai suoi inconcludenti lavoretti saltuari) fu anche prima il personaggio di John Carter, veterano sudista che viene catapultato magicamente su un Marte immaginario, più simile all’Oriente fantastico del ciclo di Simbad, dove esseri perfettamente umani combattono assieme a barbarici mostri umanoidi.

Iniziato col romanzo Principessa di Marte, serializzato nel 1912, il ciclo di John Carter è oggi dimenticato dai più ma ha sedimentato decisamente nell’immaginario collettivo – forse molto più dei primi film con viaggi lunari e di altre avventure eroicomiche, ad esempio quelle del Cyrano – la nozione di esseri marziani umanoidi, distinti da noi per il bislacco colore della pelle o per qualche altra bizzarria comprensibile, come orecchie o mani in più o antenne a grillo: di qui l’ immagine più celebre dell’alienità nazionalpopolare, gli omini verdi, appunto.

Ma l’esempio più lampante ed influente, comparso nella scia del successo delle speculazioni schiaparelliane, è il romanzo dell’Inglese Herbert George Wells, La Guerra dei Mondi, datato 1896.

Per questo suo lavoro Wells adatta il formato di un genere, quello della “storia d’invasione”, nel quale si immagina l’occupazione della propria patria da parte di una nazione straniera: secondo le angosce pre-grande guerra, ovviamente spesso erano i tedeschi. Ma lo fa scombinando le carte in tavola con una variante non completamente imprevedibile, ma rarissima per l’epoca: gli invasori che piombano nella campagna inglese sono conquistatori marziani, dotati di una tecnologia superiore allo standard dell’epoca ed assolutamente imperscrutabili, anche per via della fisionomia piovroide.

È questo un particolare narrativamente peculiare che contribuisce molto al successo della novella; i marziani di Wells – esseri vagamene cefalopodi i cui organi sono quasi tutti avvizziti e atrofizzati a parte il sistema nervoso, quello cardiovascolare e i sensi collegati – si muovono e combattono in armature semoventi che imitano la forma dei corpi perduti, antenati dei robottoni da combattimento e degli esoscheletri presentanti dalla fantascienza prima e dalla scienza reale poi. Uccidono con un inquietante raggio calorifero e con la polvere nera, precursori rispettivamente dei laser e dei gas velenosi.

Così i marziani di Wells, e la loro devastazione, oltre a raffigurare l’incubo fisiologico ed intellettuale in grado per l’autore di fustigare alcuni tratti della cultura egemone dell’Impero Britannico, sembrano richiamare in lontananza proprio lo spettro della grande guerra, con gli alieni che rappresentano in modo grottesco ed anticipatorio gli uomini di carne e sangue mischiati che il filone combattentista canterà di lì a poco.

Il film hollywoodiano del 1953 tratto dal romanzo di Wells convertì la vicenda alle angosce della guerra fredda, divenendo un classico della filmografia fantascientifica americana.

Se le creature ipercefale di Wells hanno ispirato le più diverse e minacciose figure dell’iconografia fantascientifica, ad altre raffigurazioni degli alieni di Marte è stato concesso un velo di familiarità, quasi che, tra tutti gli stranieri, siano quelli più vicini a noi, giunti magari solo dall’altra sponda del Mediterraneo. Ed ecco allora il marziano del telefilm comico My favourite martian, buffo folletto colpevole di rovinare molto poco la tranquillità medio-borghese del suburbia americano; Marvin il Marziano della serie dei Looney Toons, spesso antagonista pomposo e legnoso al tempo stesso di Bugs Bunny e Daffy Duck; il marziano “Manhunter” dalla pelle verde, sfollato del pianeta rosso ed investigatore alleato dei supereroi Batman e Superman. E ancora numerosi omini verdi che invadono cartoni animati, libri per bambini, fumetti e film, parlando spesso lingue strane e simili a filastrocche e vestendo abiti di foggia alessandrina più che aliena; così simili a noi da farci simpatia, e addirittura da permetterci di plagiarli e metterli alla berlina, come nel testo teatrale Un marziano a Roma di Ennio Flaiano, adattato poi per lo schermo.

Le sonde arrivate su Marte nei decenni hanno rivelato un pianeta desolato, ostile alla vita a causa delle temperature fredde e della quasi assenza di acqua liquida; le uniche forme di vita propriamente marziane non sono state individuate sulla superficie; sull’asteroide di origine marziana ALH 84001, ritrovato nell’Antartide nel 1984, furono forse individuati tracce di batteri fossili, poi rivelatisi invece formazioni minerali male interpretate dai ricercatori.

Ancora oggi, la NASA non ha rivelato nulla riguardo scoperte sensazionali su quello che sembra un mondo polveroso, antico, sostanzialmente tranquillo e privo di segreti pericolosi, pronto ad essere occupato da un’umanità tecnologicamente più avanzata e quindi colonizzato, lungo una serie di sbarchi che potrebbe coprire anche gli altri pianeti del sistema solare.

Così Marte si appresta a divenire una cartolina, vivo soprattutto negli oroscopi e nei festival degli astrologi, e tutti i suoi mostri di carta ridotti al rango di giocattoli per bambini, celati in una soffitta, mentre le sue distanze siderali rimangono ancora abissi incredibili, oltre i quali solo lo sguardo dei telescopi e qualche sonda sperduta sono passati.

Questo vuoto angoscioso, silenzioso, è l’unica risposta al forsennato frastuono fatto di guerre religiose, feste di capodanno e preveggenze. E i marziani restano solo giocattoli, maschere di un diverso eterno che troviamo in fondo alla strada, in un altro continente o allo specchio.