LA PAROLA

Maschera

Di etimologia incerta, potrebbe derivare da masca, parola presente nel tardo latino (la si trova nell’Editto di Rotari del 643) e ancor oggi nei dialetti tra il Piemonte e la Liguria come sinonimo di “strega”. Dal concetto primario si è passati a quello di fantasma e poi di camuffamento per incutere paura. Oggi maschera è soprattutto ciò che nasconde o protegge il volto o soltanto gli occhi, in senso proprio o in senso metaforico. «Giù a maschera!», si dice infatti per invitare qualcuno a smettere di fingere, a mostrarsi per quello che è.

Il termine trova applicazione in numerosi campi. Prima di tutto nel teatro: fin dai tempi più antichi, nel teatro greco e latino le maschere servivano per caratterizzare i principali personaggi della commedia e della tragedia, i tipi fissi come il padre brontolone o il servo scaltro. Gli stessi che ritroviamo, a partire dal Cinquecento, nella commedia dell’arte italiana. Già nell’antichità c’era l’uso di mascherarsi in occasione di feste e per divertimento, ma fu soprattutto dal medioevo che in Italia, e successivamente in Europa, si attestò questo comportamento. Il Carnevale ne è l’esaltazione e, in questo ambito, la parola indica l’intero travestimento non solo ciò che ricopre il viso: ballo in maschera, vestirsi in maschera. Ma può indicare anche la persona che indossa il travestimento: il corteo delle maschere. Ogni città ha le proprie maschere tradizionali: il Dottor Balanzone a Bologna, Rugantino a Roma, Pulcinella a Napoli, ecc. La parola indica anche l’inserviente che accompagna alla poltrona gli spettatori nei teatri e ancora in qualche cinema perché chi svolgeva questo compito, nella Venezia del Settecento, indossava la maschera forse per evitare di essere riconosciuto da chi protestava per una collocazione inadeguata.

In campo religioso e per uso funerario la maschera veniva utilizzata già in epoca primitiva e poi tra le popolazioni più antiche, come gli egizi che le ponevano sul volto dei defunti. In epoca romana il suo utilizzo avveniva anche in contesti rituali e iniziatici.

Maschera può definire anche l’attore con caratteristiche particolari: la maschera di Totò, di Chaplin, di Woody Allen. Per similitudine si può avere una maschera di sangue o essere truccate come una maschera. Se è di bellezza, è costituita da uno spesso stato di crema o anche di fango da spalmare sul viso per rendere più bella la pelle. Per proteggersi si usa la maschera antigas, la mascherina antismog, la maschera per apicoltori, quella per saldatori, quella per giocare a baseball o a hockey, per praticare la scherma, per andare sott’acqua. In medicina si usano molte maschere: quella chirurgica protegge chi opera, quella per anestesia e quella d’ossigeno le utilizza il rianimatore. Vi sono poi patologie che producono una “maschera”: quella gravidica è una iperpigmentazione di alcune zone del volto della puerpera, quella tragica è l’effetto dell’ipertiroidismo del morbo di Basedow, quella leonina è tipica della lebbra.

Serve per coprire il volto, ma allo stesso tempo per caratterizzare il personaggio, la maschera indossata da molti personaggi della letteratura e dei fumetti, da Zorro all’Uomo Mascherato, da Superman a Diabolik.

Anche gli animali possono avere una maschera se hanno il muso di un colore diverso dal resto del mantello. E, come certi animali, l’uomo può portare una maschera per mimetizzarsi. Per la psicologia ognuno di noi indossa, metaforicamente, molteplici maschere interpretando ruoli via via diversi: il marito, il professionista, la seduttrice, l’intellettuale, e così via. Quindi, togliersi la maschera è sempre un bel gesto di sincerità.

FontiEnciclopedia Treccani

Wikipedia

Cortelazzo – Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli

 

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