DAILY LA PAROLA

Menhir

I Menhir: le “pietre” della preistoria disseminate in tutta Europa, testimoni silenziosi delle prime espressioni del sentimento umano. Significato, storia e leggende

Mistero e dubbi circondano da sempre il mondo dei Menhir: se non è chiaro quale popolo li avesse eretti e, soprattutto, per quali scopi, è comunque possibile che i luoghi in cui i Menhir erano stati costruiti fossero considerati punti adatti a stabilire un contatto con il mondo ultraterreno e con gli Dei.
Simbolicamente i Menhir formano una linea retta che unisce i tre mondi, il mondo celeste e divino, il mondo umano e il mondo infero al di sotto, quello dei morti. Molte correnti tendono a pensare che la forma a obelisco dei Menhir li renda simili ad antenne che venivano piantate dove vi era una concentrazione di nodi di Hartmann e in corrispondenza di corsi d’acqua sotterranei. Una loro funzione era allora forse quella di ricevere le informazioni che il cosmo inviava per distribuirle sulla terra, e di raccogliere tutte le energie della terra per inviarle al cielo.

Con il termine di “Menhir” si intende un monumento la cui costruzione generalmente si colloca all’età neolitica o del Bronzo. Dal basso bretone men “pietra” e hir “lungo”, il Menhir era un tipo di monumento megalitico composto da una pietra allungata, in alcuni casi di forma conica, in altri a forma cilindrica, per lo più lasciata grezza, infissa nel terreno come un obelisco. Sono formati da una grossa pietra a forma di parallelepipedo allungato (la loro forma, però, alcune volte si assottiglia verso la cima) piantata verticalmente nel suolo, i Menhir sono quasi sempre associati ai Dolmen, dal momento che compaiono quasi sempre poco distanti gli uni dagli altri. Isolati, raggruppati in file o in circoli, i Menhir avevano varie dimensioni e potevano raggiungere anche più di venti metri di altezza, come il Grand Menhir rotto di Locmariaquer (nel Morbihan, in Bretagna). Sono distribuiti in Europa, Africa e in Asia, ma sono più numerosi – come in genere tutti i tipi di megaliti – nell’Europa Occidentale, in particolare in Bretagna e nelle isole britanniche.

Quanto alla loro funzione, ancora non esiste una spiegazione certa e del tutto plausibile. Quel che è certo è che i Mehnir avranno acquisito diverse funzioni nel corso dei secoli. Si pensa che i Menhir isolati, che nella maggior parte dei casi sono direttamente associati ai dolmen, fungessero da “segnalazioni” di tombe di straordinaria importanza.

In molti tuttavia non escludono che poi anche gli stessi Menhir abbiano assunto, al pari dei Dolmen, il significato di veri e propri simulacri dedicati ai morti o alle divinità, tanto più che molti riportano ancora tracce di sculture antropomorfe: gli “alignements”, per esempio, ovvero i cosiddetti “allineamenti” (celebri quelli di Carnac), potrebbero essere stati luoghi di raduno o delle vie sacre.
Altre correnti vorrebbero che le facce larghe dei parallelepipedi, orientate da Est a Ovest, possano essere state utilizzate per scandire il tempo e segnare solstizi ed equinozi. Così come si suppone anche che i Menhir abbiano svolto il ruolo di osservatori astronomici.

L’area della loro diffusione, dunque, coincide in generale con quella degli altri megaliti: ce ne sono tantissimi in Francia, nelle Isole Britanniche, nell’Africa Settentrionale, ma anche in Italia.
La regione più ricca di Menhir è senza dubbio la Francia: si ritiene che la costruzione dei Menhir sia avvenuta in Bretagna tra il 4500 e 2000 a.C. e che vennero utilizzati dalle popolazioni successive specialmente per riti religiosi.
Gli allineamenti di Carnac, per esempio, nel Morbihan in Bretagna, coprono un’area di 4 chilometri, tra il sito di Kerlescan a est e Le Ménec a ovest.
Altri Menhir qui famosi sono il Grande menhir spezzato di Locmariaquer (Morbihan), il menhir di Champ-Dolent nei pressi di Dol-de-Bretagne (Ille-et-Vilaine) e il menhir di Saint-Uzec (Côtes-d’Armor).

Ma anche l’Italia possiede parecchi Menhir. Le regioni più ricche sono la Puglia e la Sardegna.

In Sardegna si chiamano anche “perdas fittas” o “pedras fittas”, cioè “pietre conficcate”. In tutta l’isola se ne contano almeno 740 e possono essere completamente lisci, a simbologia fallica, oppure avere scolpite delle mammelle, segni della Dea Madre. Su alcuni di essi si ritrovano invece delle “coppelle”, come il menhir di Genna Prunas di Guspini, mentre l’originale stele di Boeli, meglio conosciuta come Sa Perda Pinta di Mamoiada, ha delle spirali concentriche su quasi tutte le facce.
L’area archeologica di Pranu Muttedu a Goni, a circa trenta minuti da Cagliari, vanta la più alta concentrazione di Menhir con circa 60 monoliti variamente distribuiti in un’area di circa 200 mila metri quadri.

In Puglia, i Menhir sono soprattutto nel Salento: in provincia di Lecce, ogni centro possiede almeno un Menhir. A Giurdignano se ne contano più di 15 esemplari, mentre a Martano è presente uno dei più alti Menhir d’Italia, il “Menhir de Santu Totaru”, che raggiunge i 4,70 metri d’altezza.

Le specie si estinguono ma le pietre sopravvivono. Se giungerà un viaggiatore dallo spazio e ne troverà una elevata al cielo, capirà che lì c’è stata civiltà.