LA PAROLA

Microfisica

La natura ci appare davanti in tutta la sua presenza: mari, monti, fiumi, immense distese e straordinari continenti. Essa è, ad un primo sguardo, la dimensione del grande, di quello che i greci appunto chiamavano “macro”, ovvero di ciò che è ragguardevole dal punto di vista della quantità. La natura, dunque, appare grande e, così facendo, ingenuamente ci induce a pensare che sia pienamente visibile, alla portata dei nostri organi di senso.

Nel linguaggio comune l’aggettivo naturale  ha appunto il significato esteso di “evidente”, “chiaro”, “fattuale”. Ma la fisica, che poi per i latini è la “natura”, è fatta di scatole cinesi, nel senso che rivela un mondo al suo interno, rivela dei sottolivelli, fino al punto quasi di scomparire a quello stesso sguardo che prima riusciva a cogliere quei mari, quei monti, quei fiumi, quelle immense distese così evidenti nella loro realtà appunto “fisica”.

Esiste il “macro” ed esiste il “micro”, ovvero il piccolo, l’infinitamente piccolo. Sotto questo profilo, viene incontro la fisica con il suo linguaggio intersoggettivo ad evitare l’equivoco semantico: il “mondo micro” è quello studiato nell’ordine di grandezza di 10−6, ovvero 1/1.000.000, un milionesimo.  Per gli amanti della precisione, si ricorda che il suo simbolo è µ.

Bene, con il termine “microfisica” si indica quindi  quella parte della fisica che studia  fenomeni e oggetti, sottoposti al  principio di indeterminazione formulato da Heisenberg. Senza con questo urtare i puristi della meccanica quantistica, quel principio che rappresenta un limite invalicabile, inerente alla natura stessa della realtà fisica, anche e soprattutto all’accuratezza dei nostri mezzi di osservazione. Di un elettrone in movimento si può calcolare o la velocità o la posizione, non entrambi i valori. Siamo nella dimensione degli elettroni e dei loro movimenti bizzarri…non si vedono…ma con ciò si può sostenere che non esistono? La microfisica è appunto l’ambito della “materia invisibile”.

Un vero trauma per i sostenitori dell’evidenza empirica, ma anche per quanti sostengono che il Potere (concorrente e fratello della Natura) sia solo quello che si vede, quello “grande”, fragoroso nella sua violenza e capacità di intervento. In questo caso, non viene in soccorso Heisenberg, bensì un signore di nome Michel Foucault,  sostenitore della tesi della Microfisica del potere, che ha avuto la vendittiana abilità (Ricordate Nietzsche e Marx che si davano la mano in Compagno di scuola?) di far coesistere l’esplosività nicciana con lo spirito critico del marxismo. Foucault, in sostanza dice al buon Marx: il potere non è solo quello delle classi dominanti, che schiaccia quelle subalterne…troppo facile amico mio…piuttosto esso vive e si esprime nelle situazioni piccole come la sanità, la scuola, l’educazione.

Esso ci pervade nell’intimo della nostro tessuto esistenziale, ci avvinghia nelle sue trame invisibili al malcapitato, nel piccolo appunto… Noi siamo dentro un commento già scritto, secondo un ordine di grandezza, che culmina appunto nel “Grande Potere”. E nel riconoscerne le dinamiche raffinate e sottili, Foucault forse ha in  mente quel Giordano Bruno, ricordato quasi solo per aver ipotizzato “infiniti mondi” ma che in realtà nei suoi dialoghi parlava del “minimo”, ovvero del mattoncino su cui tutto è costruito. Anche il Grande.