DAILY LA PAROLA

Migrante

Il migrante è una benedizione: quando finalmente qualcuno lo dirà a chiare lettere sapremo di essere un Paese quasi civile, un porto che accoglie, che cura, che non fa differenze

Li chiamiamo extracomunitari, vù cumprà, profughi, negri, invasori, profittatori, atleti ben pasciuti, sfruttatori, ma sappiamo benissimo, per averlo provato anche sulla nostra pelle, che chi è costretto a partire, a migrare, lo fa per necessità. Per quanto sia brutta la situazione della propria patria è sempre un sacrificio lasciarla. Se poi ci sono guerra, fame, povertà assoluta, malattie, intolleranze, la partenza è obbligata e non si dice mai abbastanza quanto costi questa partenza. Si muore. Anche. Per una speranza, per un barlume di felicità, anche solo per un tozzo di pane.

Il dizionario ci dice che migrante significa 1. Che migra, che si sposta verso nuove sedi: popoligruppi etnici migranti.; animaliuccelli migranti2. Con significati più tecnici, in biologia e medicina, di cellula o organo che ha capacità o possibilità di spostamento – attivo o passivo a seconda dei casi – dalla sede abituale, per cause varie. In particolare cellule migranti. (o cellule migratorie, o macrofagi), di natura reticolo-endoteliale, che hanno notevole importanza nei fenomeni infiammatorî; rene migrante è il rene che si è spostato dalla sua sede normale per alterazioni della loggia in cui è contenuto. Analogamente ascesso migrante, ascesso freddo che dalla primitiva sede di formazione si sposta sotto l’influenza della gravità, seguendo le vie di minore resistenza (spazî cellulari e perivascolari).

Secondo il nostro ex ministro della paura, «il migrante è un gerundio». Gaffe, questa manifestatasi nel programma “Virus” su Rai Due. Il leader della Lega Nord ha così scambiato il participio presente per il gerundio. Tanto per capire quale considerazione riservi a quei poveracci che tentano di sbarcare nei nostri porti. Questi, sono stati 14 mesi di bestialità, di menefreghismo assoluto, di battaglia quasi senza via di scampo per rifugiati, profughi, perseguitati, per donne e bambini, per anziani senza speranza, per giovani che a casa loro potrebbero costruire un futuro se solo glielo permettessero. L’Italia, un Paese che ha vissuto da migrante per tanti anni, ha fatto finta di nulla, spesso nascondendo il problema e rimettendolo in mare nelle mani di altri Paesi ancor meno sensibili o ributtandoli a casa, in quell’orrida casa libica ove sono di prassi torture, stupri e omicidi.

Fortunatamente ci sono le Ong, fortunatamente esiste Gino Strada, fortunatamente c’è ancora qualcuno che si indigna, disposto ad aiutare chi non ha nemmeno la forza di reagire.

Il migrante è una benedizione: quando finalmente qualcuno lo dirà a chiare lettere – per ora qualcosa di importante ha detto la Chiesa – sapremo di essere un Paese quasi civile, un porto che accoglie, che cura, che non fa differenze. Spero di vivere così a lungo da vedere questo mondo migliore.

Intanto continuiamo a chiamarli vù cumprà, negretti quando va bene, a usarli nei campi degli orti e dei frutteti a una lira, a sfruttare il loro lavoro, a calpestare la loro dignità, a chiudere loro l’uscio in faccia. Intanto continuiamo a tenerli nei campi profughi, nelle galere nostrane, ad ammassarli, a considerarli bestie.

Vorrei, e spero che altri con me vorrebbero, che tutto fosse aperto, che si scambiassero esperienze e culture, che fossimo disposti a capire che le differenze arricchiscono.

 

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