CRITICA FILM

Nella rete del pescatore finisce il Potere

Anche chi non apprezza particolarmente il cinema coreano, spesso troppo cupo e violento – in un mondo reale che già ci “regala” brutture ed orrori ad ogni angolo – ed ha difficoltà a vedere film nei quali la violenza viene presentata con scene di accurata precisione, non può non apprezzare l’ultimo film di Kim Ki-duk, del quale è difficile non riconoscere comunque la bravura.

Nel film Il prigioniero coreano non c’è violenza gratuita. La storia raccontata, a tratti forse in modo un po’ schematico, è drammatica, dura e senza speranza, ma cattura l’attenzione e invita a riflettere, non solo sul problema della divisione fra nord e sud Corea, ma anche sui meccanismi del potere in genere.

Il protagonista è Nam Chul-woo, un pescatore nordcoreano, la cui unica ricchezza è una barca, grazie alla quale può provvedere alla vita della moglie e della figlia. Nam vive al confine con la Corea del Sud e un giorno, la forte corrente e un guasto al motore lo trascinano inesorabilmente, con la sua barca, fino in territorio sudcoreano.

Inizia così per Nam un calvario di interrogatori e torture fisiche e psicologiche per farlo confessare di essere una spia o per convincerlo a disertare. Ma Nam, di una sola cosa è certo: vuole tornare in patria, perché, come dice di fronte alle allettanti promesse di una vita piena di comfort e denaro, «Neppure gli animali abbandonano i propri cuccioli».

Nam non vuole vedere le strade, i negozi, i grattaceli di Seul, per avere il meno possibile che valga la pena costringerlo a raccontare al suo ritorno in patria, tiene gli occhi tenacemente chiusi; sarà forzato a vedere, e scoprirà tanta abbondanza di merci ma anche tanta spietata indifferenza.

Ed è proprio la spietata indifferenza del Potere, sia quello comunista e dittatoriale del Nord Corea, che quello capitalista del Sud, ciò che il regista vuole mostrare allo spettatore.

Un Potere che si mostra, con i suoi funzionari, non solo indifferente verso la vita, i sentimenti e le relazioni umane dei propri cittadini, ma costantemente occupato a diffidare, a guardare con sospetto.

The net, “la rete”, è il titolo originale del film, e proprio in una rete, come fino ad allora i pesci da lui catturati, si ritroverà imprigionato Nam; una rete dalla quale, per quanti sforzi faccia, non riuscirà più a scappare.

Alla fine potrà tornare indietro con la sua barca, solo per sperimentare le stesse torture fisiche e psicologiche, lo stesso accanimento per farlo confessare di aver visto o fatto chissà cosa.

Corea del Sud e Corea del Nord, agli occhi di Nam e dello spettatore, non erano mai apparse così unite.

Il film, presentato al 41° Festival di Toronto e al 73° Festival di Venezia nel 2016, uscirà nelle sale italiane nell’aprile 2018.

Il prigioniero coreano, regia: Kim Ki-duk, interpreti: Ryoo Seung-Bum, Lee Won-geun, Kim Young-min, Guyhwa Choi, Corea del Sud, 2016, 114 minuti.

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