DAILY LA PAROLA

Noia

Noia, tedio, appocundria, fatica, incapacità di sopportare, condizione esistenziale o fastidio. Lasciamolo cantare al Califfo, che tutto il resto è noia

La noia di Dio, il settimo giorno della creazione, potrebbe essere un tema per un grande poeta, suggeriva Nietzsche, ma già quella degli uomini pone davanti ad un’infinità di tentativi di descriverla. Forse perché prima di tutto la noia è sfuggente, perché nel momento in cui si cerca di definirla, il cuore e la mente sono già in movimento e lei svanisce. Forse la noia è una condizione in cui niente muta e, insieme, uno stato che prepara al cambiamento, un segnale concreto e corporeo, ma senza appigli definiti, qualcosa che la mente non sa far affiorare, patendone gli effetti. Meglio abbandonarsi alla sua inquietudine e alle sue derive, come in un sogno in cui accada ciò che può accadere. Scemerà in un interesse che la superi o in un’illuminazione. Inutile, o quasi, cercare di scacciarla o di combatterla, più semplice ingannarla, anche se infine le bugie vengono a noia anche a chi le racconta.

La noia non è una condizione in cui si è soli, piuttosto si cercherà la solitudine per uscirne, disporsi nuovamente per stare con altri che non ci abbiano annoiato. O gli stessi, perché, per dirla con François de La Rochefoucauld «perdoniamo coloro che ci annoiano, ma non riusciamo a perdonare coloro che noi annoiamo». Per Leopardi e Tolstoj la noia è legata al desiderio. Per l’insufficienza delle cose esistenti e perché è desiderio di desideri. La noia è fame, scaturisce da un bisogno. Forse il richiamo di un mondo di cui non si conosce l’accesso.

La noia che si prova sui banchi di scuola, alle conferenze, assistendo a un qualsiasi spettacolo deriva dalla monotonia del tema, da quanto non assecondi più la curiosità o l’aspettativa di essere sorpresi. La ripetizione porta alla noia quando siamo stufi dell’assodato, quando dobbiamo cercare altrove, perché quei contenuti sono già presenti e dobbiamo conoscere altro. Approfondire, chiedere, sollecitarci e sollecitare. Non ci può essere noia nell’ignoranza, semmai inquietudine da senso di inadeguatezza. L’iperattività di certi studenti molto dotati nasce dalla scomodità della ripetizione, non da quella della sedia. È sete di conoscenza frustrata. Anche l’esito opposto, cioè la passività, può derivare dalla noia nel caso in cui prevalga il contenersi se non il reprimersi.

È noioso chi o cosa procura fastidio, ciò che determina un impiccio, che vincola o costringe, anche fisicamente. Ci viene invece a noia la solita zuppa, un capo di abbigliamento indossato troppe volte, il tormentone dell’estate.
Con la giustizia, col fisco o coi vicini, al plurale, le noie sono problemi o guai.

Il tedio è invece quella condizione di noia esistenziale in cui, per usare le parole di Fernando Pessoa, accade di «pensare senza che si pensi, con la stanchezza di pensare; sentire senza che si senta, con l’angoscia del sentire; non volere senza che non si voglia, con la nausea di non volere». Se questa condizione porti venature di scettico e fatalistico distacco si può parlare, nel dialetto napoletano, dell’appocundria, mirabilmente cantata da Pino Daniele.
E la noia di Dio? Alberto Moravia racconta che «in principio, dunque, era la noia, volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l’acqua, gli animali, le piante, Adamo ed Eva; i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall’Eden».
Sì, d’accordo, ma poi? Tutto il resto è noia…., almeno secondo il Califfo.