IL PERSONAGGIO

Che nostalgia, senza l’ultimo dei buskers

Metti due musicisti di strada tedeschi, un po’ squinternati, che girano l’Europa armati di violino e chitarra, di campanelli attaccati ai polsi e alle caviglie, di tromba e kazoo. Uno di loro, con una grancassa sulla schiena, suonata con un batacchio attaccato al gomito. E metti che questi due buskers scelgano di vivere in Maremma, che una sera di fine anni ’70 si trovino a suonare in un paese sulle pendici dell’Amiata, Arcidosso, e che proprio lì vengano notati da Renzo Arbore, sempre a caccia di artisti e novità per le sue trasmissioni televisive di “avanguardia”.

È nato così, praticamente per caso, il successo italiano del duo Otto e Barnelli, protagonisti di sketch comici e musicali negli ultimi anni di programmazione dell’Altra domenica, una delle idee più riuscite di Arbore, andata in onda su Rai 2, dal 1967 al 1979.

Era stato lo stesso Barnelli, al secolo Bernrd Witthuser, a raccontare l’incontro con Arbore che gli avrebbe cambiato la vita: «noi siamo nati in Germania, Otto a Hameln sul fiume Weser, io a Winterberg dalle parti di Colonia: eravamo da poco in Italia, ci esibimmo in piazza Navona e poi ad Arcidosso in un festival in cui c’era anche Benigni, che io non sapevo neppure chi fosse. Arbore ci vide, ci volle in tv ed avemmo subito un grande successo. Paradossalmente passammo in un attimo da essere degli illustri sconosciuti a star».

La storia di Hans Otto Richter, il violinista, e Bernrd Witthuser, il chitarrista, veniva, infatti, da lontano, dalla Berlino dei primi anni ’70, da scelte di vita difficili e ribelli che li avevano condotti a girare per le strade dell’Europa suonando e componendo musica, anche un certo successo. E la storia del famoso duo, benché sciolto da anni, termina davvero qui con la morte di Barnelli, avvenuta a 73 anni la notte tra il 3 e il 4 agosto all’ospedale Misericordia di Grosseto.

Aveva scelto di vivere a Murci, nel comune di Scansano. Poche case e meno di 150 anime, nel sud della Maremma, di fronte alle colline dell’Uccellina, terra di vino e di contadini, di cacciatori e di qualche personaggio che ne ha fatto il proprio buen retiro. Come Barnelli appunto, che, per non tradire lo spirito nomade e il sogno di libertà e ribellione degli hobo americani – un sogno che accomuna Jack Kerouac, Arlo Gutrie, lo stesso Bob Dylan, ed affonda indietro nel tempo, passando per Jack London, al Grand Tour settecentesco, alla Wanderung romantica, ed ancor più indietro al romitaggio degli aedi –, aveva deciso di vivere in una roulotte in mezzo ai boschi, si spostava a piedi o in moto e nei lunghi 40 anni di permanenza era riuscito, dopo una iniziale diffidenza, a farsi amare da tutti.

Ironico, estroverso ed estroso, capriccioso, come ogni artista che si rispetti, assolutamente incapace di soggiacere alle regole, vero intenditore di birra, innamorato della libertà, della musica, dell’arte e delle donne, tante, che lo hanno accompagnato ciascuna per un pezzetto della sua strada. Malgrado il suo spirito anarchico e anticonformista, era anche riuscito a sposarsi, dopo aver provato a vivere in una comune.

Alla fine la scelta di starsene da solo e continuare la vita di busker, con quel suo stile particolare che lo aveva reso famoso, tanto che, a distanza di molti anni, veniva ancora riconosciuto e fermato per strada. In coppia con Otto fino al 2002, aveva continuato a suonare e a fare spettacoli nelle piazze, in tv, nei teatri, anche se il suo amore rimaneva la strada.

Spesso, il fine settimana, partiva da Murci per Roma in moto, con il suo armamentario, completo di grancassa sulla schiena, per intrattenere i turisti e i romani a passeggio per il weekend. Da solo, con il nome di Takkabanda Barnelli, ha continuato a suonare in Italia e all’estero, proponendo vecchi successi, e nuovi arrangiamenti, musica folk e pezzi improvvisati, cabaret e teatro. Fino a pochi anni fa, quando ha avuto un infortunio da cui non si è ripreso mai del tutto e da cui è iniziato il peggioramento del suo stato di salute che lo ha portato alla morte.

Un vero e proprio zingaro, che ha girato tutto il mondo e che nella vita ha fatto di tutto salvo abbandonare la passione della musica. In gioventù, nel vano tentativo di mettere la testa a posto, aveva provato a fare l’apprendista elettricista per la ditta Krupp di Essen, salvo tirare il libretto di lavoro in faccia al caposervizio e tornare alla musica. Libero al punto di stracciare il contratto con una casa discografica per la quale, in coppia con un compagno nel duo Witthuser & Westrupp, aveva inciso 5 Lp nei primi anni ’70. Fino all’incontro con Otto, la svolta e il successo. Di cui tuttavia non si è mai curato troppo, tanto da sceglier di vivere nei boschi della Maremma, lontano dai lustrini e dai riflettori.

Di lui verranno ricordati gli esilaranti sketch con violino, chitarra e campanacci, gli improbabili cappelli con cui si presentava all’Altra domenica, in coppia con Otto, le successive apparizioni in tv, ma più di tutti il cameo nel film di Arbore, Il pap’occhio, e la celebre parodia della battuta «Vieni avanti cretino!», quando Barnelli, vestito da cardinale, chiama Otto, vestito da prete, dicendo «Vieni avanti pretino!»

A Murci, lo ricorderanno anche per le sue stranezze, il marcato accento tedesco ancora forte a distanza di 40 anni, la mimica esasperata tipica di chi crede di non padroneggiare la lingua, l’abbigliamento stravagante. Ne sentiranno a Murci – e ne sentiremo noi – la mancanza, perché con lui se ne è andata una vita straordinaria e un pezzo di storia del paese, ma anche della musica e di un certo modo intelligente di fare spettacolo in Italia.

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