DAILY LA PAROLA

Oblìo

Oblìo.

Innanzitutto l’accento, che va segnato perché non cada, in automatico, sulla prima sillaba, come verrebbe naturale nella nostra lingua. Poi la storia, perché l’oblìo viene dalla Grecia, e traduce la parola λήθη: il fiume sacro della mitologia classica, il Lete, uno dei fiumi del mondo dei morti, le cui acque cancellavano ogni ricordo in chi vi si immergeva. A questo fiume dovevano bere le anime dei defunti per dimenticarsi della loro vita terrena, oppure coloro che erano chiamati a rinascere per non ricordare quel che avevano visto nel mondo sotterraneo. Dell’oblìo ci parla il filosofo Platone, che fonda il suo insegnamento sul concetto di anamnesi o reminiscenza delle idee. Grazie al quale, piano piano, riaffiora alla luce la conoscenza, almeno in chi ha conservato quel bagliore interiore.

Non a caso è Platone anche a parlare per primo di inconscio: la nostra saggezza è offuscata, ma non cancellata del tutto, si trova nell’inconscio dell’anima, e questo fatto gli pare terribilmente triste. Non a caso, nel mito della caverna, gli uomini sono condannati a vedere soltanto le ombre del vero, e condannano i pochi illuminati che, usciti fuori dalla caverna, tentano di illuminare il resto dell’umanità.

Il fascino dell’oblio, poi, non poteva sfuggire ai poeti; Foscolo ne riconosce il pericolo, di fronte alla legittima aspirazione del poeta di diventare immortale attraverso i suoi versi. Nel Novecento, dopo due guerre mondiali, dell’immortalità data dall’arte è importato meno a quasi tutti.

In psicanalisi l’oblìo è dato da un processo di rimozione che difende l’individuo dal ricordare eventi sgraditi o veri e propri traumi. In Italia esiste anche il principio del Diritto all’oblio, e il diritto ad essere dimenticati online: possiamo chiedere e ottenere che sparisca dal web qualunque nostra traccia, per esempio se siamo stati protagonisti in passato di fatti di cronaca: un’apposita legge ci tutela.

L’oblìo è una dimenticanza definitiva, un azzeramento della storia o di una sua parte; è il contrario di una parola magica e radicante, la memoria, quella cosa che in molti manifestano di aver perduto, ai giorni nostri, quando sdoganano i nuovi fascisti o non trovano consonanze fra le violazioni dei diritti umani di ieri e quelle di oggi.