LA PAROLA

Ossimoro

O viva morte, o dilettoso male,
come puoi tanto in me, s’io nol consento?

Così Francesco Petrarca nel sonetto S’amor non è, con un doppio ossimoro fortissimo, tempestoso. Ma cos’è questo ossimoro? Viene dal greco ὀξύμωρον, composto da ὀξύς, «acuto» e μωρός, «ottuso»: un nome decisamente eloquente, dato che è a sua volta un ossimoro.

Si tratta di una figura retorica che utilizzano tutti, non solo i poeti laureati, e consiste nell’unione sintattica di due termini contraddittori. Il paradosso che crea questa unione è solo apparente, in realtà l’effetto rafforzativo è assicurato.

Ce ne sono molti esempi famosi, spesso entrati nella lingua comune, come lucida follia, convergenze parallele, pace armata, oppure silenzio eloquente, e lo usano poeti di tutti i tempi, da Saffo e Catullo in poi: tacito tumulto (Giovanni Pascoli), dolcezza amara (Giuseppe Giusti), uccidere i morti, e anche allegria dei naufragi (Giuseppe Ungaretti), dolcemente feroce (Torquato Tasso), i miti carnefici (Montale), ricco e perduto, morto e insorgente (Zanzotto), io sono la piaga e il coltello, lo schiaffo e la gota (Baudelaire), i costruttori di macerie (Eluard), solo per citarne alcuni.

Le cosiddette canzonette, poi, grondano ossimori in moltissimi testi, a partire da titoli (Matia Bazar, Brivido caldo; Masini, Bella stronza, tanto per fare un paio di esempi), e sono farcite di tutte le figure retoriche, tanto che ormai molti professori le usano per spiegarle ai loro studenti, così le ricordano meglio.

Il contrasto generato dall’ossimoro è particolarmente adatto a descrivere le pene d’amore, che come si sa conducono l’anima sulle montagne russe senza chiederci il permesso. Non a caso «l’amante, nella sua tensione senza limite, è un ossimoro vivente», ci dice Francesco Muzzioli in un manuale di analisi retorica dei testi letterari; ben lo sapeva Petrarca, maestro di ossimori, che lo rappresenta con la massima eloquenza a colpi di endecasillabi:

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

 

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