LA PAROLA

Partigiano

Lo dice la parola stessa: partigiano equivale a uomo di parte, dal latino pars. Ma in questo caso l’etimologia ci aiuta ben poco perché la parola – scelta, non a caso, per ricordare la giornata di ieri in modo che non sia stata solo un giorno festivo di gite fuori porta e di pranzi luculliani – ha acquisito negli ultimi settant’anni un significato ben preciso e riferito a un particolare momento storico. Non è più una semplice parola ma è la sintesi di un mondo.

Partigiano, dunque, non è più solo l’uomo che sostiene una parte, ma colui che «fa parte di formazioni irregolari armate che agiscono sul territorio invaso dal nemico esercitando azioni di disturbo o di guerriglia», dice la Treccani. È colui – uno dei tanti, uomini e donne – che hanno liberato questo Paese dal nazifascismo, o più semplicemente tutti noi che ci viviamo.

La parola partigiano ha una storia molto lunga e articolata, con continui passaggi da un paese europeo all’altro e da una lingua all’altra nel corso dei secoli. La racconta con grande precisione il linguista Bruno Migliorini nel suo Profili di parole. Il termine applicato agli organizzatori della Resistenza italiana sarebbe derivato negli anni del secondo conflitto mondiale dal russo partizan, diffusosi in Ucraina per indicare le bande di franchi tiratori formatesi nella zona di Cernikov. Ma questa sarebbe stata solo l’ultima tappa del lungo viaggio fatto dalla parola partigiano, nata in Italia e foggiata sul modello di cortigiano (colui che vive a corte) e artigiano (colui che esercita un’arte). Ma già nel Quattrocento con il termine si faceva riferimento al componente di fazioni armate, quindi a chi difende la propria parte non solo con le parole e con i pensieri, ma con i fatti. La parola passò poi in Francia sotto la forma di partisan e, durante la guerra dei Trent’Anni, penetrò in Germania sempre nella forma Partisan. Nel Settecento è diffusa in Polonia come partyzant e durante la campagna di Russia di Napoleone, nel 1812, appare nella forma partizan. Durante la seconda guerra mondiale, ritornata in auge per indicare i resistenti all’occupazione tedesca, dalla Russia si diffonde in Jugoslavia e in Italia.

Infine, va precisato che le parole partigiano e patriota, spesso interscambiabili durante la Resistenza, vennero poi distinte con un decreto legge emanato nell’agosto del 1945. In estrema sintesi, venne considerato «partigiano combattente» solo chi aveva fatto parte di una «formazione partigiana» e aveva partecipato ad almeno tre azioni armate, mentre venne definito «patriota» chi, pur facendo parte di una formazione partigiana, non aveva compiuto tre operazioni armate, e chi aveva partecipato alla «insurrezione nazionale» del 25 aprile 1945.

Nei decenni dopo la Liberazione quella del partigiano è divenuta una vera e propria epopea, costituita da una fitta narrazione che ha coinvolto l’arte, la letteratura, il cinema, la musica popolare. Non solo Bella ciao, dunque. Basti pensare all’opera di Luigi Nono – Il canto sospeso (1955), basato su frammenti di lettere di condannati a morte della Resistenza europea e Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz (1966), tratto dalle musiche di scena di un dramma di Peter Weiss ambientato in quel Lager – o ai disegni e agli acquerelli di Guttusodella serie Gott mit Uns (cioè Dio è con noi, la scritta che campeggiava sulla fibbia delle SS, letta dai combattenti per la Resistenza un attimo prima di essere uccisi) che rievocano le impiccagioni, le torture, le violenze sui civili, le stragi della guerra appena finita. Ma anche la lotta di chi si ribellava alla tirannia nazifascista e si batteva per un Paese libero.

In letteratura si possono citare, tra le tantissime opere, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, La casa in collina di Cesare Pavese, un po’ tutta l’opera di Primo Levi e quella di Beppe Fenoglio da Una questione privata a Il partigiano Johnny. Senza dimenticare le donne, partigiane e autrici di alcuni dei romanzi più significativi: dal Diario partigiano di Ada Gobetti a L’Agnese va a morire di Renata Viganò a La storia di Elsa Morante.

Tra i momenti più alti della lirica italiana del Novecento ci sono versi come «i morti abbandonati nelle piazze», il «lamento d’agnello dei fanciulli» e «l’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso al palo del telegrafo» di Salvatore Quasimodo in Alle fronde dei salici. E la sintesi lirica di Giuseppe Ungaretti in Per i morti della Resistenza: «Qui vivono per sempre/ gli occhi che furono chiusi alla luce/ perché tutti li avessero aperti/ per sempre alla luce».

E quanti film hanno raccontato le imprese partigiane, da Roma città aperta di Rossellini e Achtung! Banditi! di Lizzani fino ai più recenti I piccoli maestri di Daniele Lucchetti e L’uomo che verrà di Giorgio Diritti. Una filmografia e una narrativa così ricche dimostrano quanto la figura del partigiano che qui abbiamo delineato sia entrato nell’immaginario e, soprattutto, nella coscienza collettiva.

Per ricordare ancora oggi, che è il giorno dopo, il 25 aprile ecco i famosi versi di Piero Calamandrei scritti sulla pietra, in risposta al comandante nazista Kesserling che, in una sfrontata intervista rilasciata nel dopoguerra, aveva affermato che gli «italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per l’aiuto che aveva dato al nostro Paese»:

Lo avrai camerata Kesselring

il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

a deciderlo tocca a noi

non coi sassi affumicati

dei borghi inermi e straziati dal tuo sterminio

non colla terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità.

Non colla neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono

non colla primavera di queste valli

che ti videro fuggire

ma soltanto col silenzio dei torturati

più duro di ogni macigno

soltanto con la roccia di questo patto

giurato tra uomini liberi

che volontari si adunarono

per dignità e non per odio

decisi a riscattare

la vergogna e il terrore del mondo

su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama

ORA E SEMPRE RESISTENZA

 

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