CRITICA LIBRI

I peccati di Heidegger rivisitati da Farias

Martin Heidegger

Quando uscì nel 1987, il saggio Heidegger ed il nazismo di Victor Farias, tradotto e distribuito in italiano da Bollati-Boringhieri, suscitò un aspro e controverso dibattito. Il libro si presenta come una narrazione biografica della vita del filosofo tedesco Martin Heidegger, considerato – accanto al connazionale Friedrich Nietzsche, alla scuola di Francoforte e agli Esistenzialisti francesi – uno dei maggiori riferimenti filosofici del XX° secolo. Il suo pensiero è ritenuto infatti componente essenziale dell’esistenzialismo stesso ed uno dei capisaldi del sistema filosofico europeo contemporaneo, la filosofia Continentale, contrapposta alla generazione Analitica di ispirazione anglosassone.

A rendere quel libro di Farias forse più “discusso” e “discutibile” di quanto in realtà non fosse, le polemiche che negli anni precedenti accese un altro autore il cui cognome iniziava sempre per F e che aveva dato la stura a un orripilante filone di pensiero anch’esso catalogabile alla lettera F o alla lettera N: falsificazionismo o negazionismo, e l’autore si chiamava Faurisson https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Faurisson .

Si iniziò in quegli anni a respirare un’aria di oblio o di tentativo di rimozione dell’orrore in cui erano andati ad incagliarsi i buoni propositi di pace e prosperità auspicati con la fine del secondo conflitto mondiale.

E il libro di Farias indirettamente portava acqua a quel mulino perché pur riconoscendo che l’adesione da parte di Heidegger al nazismo c’era stata, la derubricava da peccato capitale a peccato veniale, inserendola in fisiologiche istanze tedesche che assolvevano dalle responsabilità individuali, in quella “banalità del male” che emergeva dalla difesa di Eichman di essersi limitato ad eseguire ordini descritta da Hannah Arendt, allieva ed amante di Heidegger, nel suo resoconto per il “New Yorker” del processo all’uomo che aveva messo in piedi lo sterminio organizzato degli ebrei, dei diversi e degli oppositori.

Ricostruendo la vita di Heidegger, dalla giovinezza in una famiglia della piccolissima borghesia, con un padre sacerdote, alla lotta per scalare la gerarchia scolastica e universitaria ed intraprendere una brillante carriera accademica coronata dal successo, Farias metteva in luce le barriere fatte di ostacoli economici e sociali della società tedesca prima dell’avvento nazista, che avevano condotto al disprezzo classista di cui si era avvalso il dittatore per la sua ascesa.

Quello che emerge è un Heidegger rimasto per sempre legato al tema della gioventù, sia per la sua passione nel raccontare ed insegnare agli studenti, che nella sua ossessione filosofica per le energetiche possibilità della vita contrapposte alle catastrofi della morte e dell’inautenticità, i suoi maggiori incubi. Fu così che egli divenne il filosofo super-star per molti giovani tedeschi cresciuti dopo la guerra in una Repubblica di Weimar piena di incertezze, miseria e confusione politica, ed il traghettatore di un culto della tradizione, vista come possibile rifugio garante di un’esistenza vera contro la meccanizzazione sociale e tecnologica dell’esistenza moderna, a cui contrapporre il cattolicesimo germanico dalle venature comunitarie ed antisemite, o la ricerca della missione individuale in senso “parsifaliano”.

E se dunque Heidegger fu nazionalsocialista, lo fu come lo potevano essere i tradizionalisti tedeschi che volevano promuovere la dottrina del “Volk”, il popolo tedesco: un individuo che rispose sprezzantemente ad un veterano mutilato che auspicava la pace perpetua; che voltò le spalle a numerosi intimi conoscenti di estrazione ebraica; che ridusse la violenza nazista, vero esempio della tecnica disumanizzante da lui tanto esecrata, ad una quisquilia simile a ciò che Hegel aveva definito come trascurabilità dello svelarsi dello spirito.

Farias espone senza remore tutti questi aspetti morali del filosofo spiegando perché Heidegger non riuscì mai a riconoscere esplicitamente l’orrore del nazismo, e perché cercò nella seconda parte della vita, anche attraverso l’enfasi filosofia sui pericoli insiti nel primato della “Tecnica”, di mettere tutte le violenze del secondo conflitto mondiale sullo stesso piano.

Anche il suo antisemitismo, come si disse poi nel contesto della disputa dei quaderni neri, viene derubricato da antisemitismo razziale e biologico, ad antisemitismo esistenziale, come quello manifestato da Lutero ed Hegel che attribuivano agli ebrei, in quanto allogeni vaganti ed autentici “erranti”, un posto inaffidabile nel divenire storico.

Il libro di Farias, con un certo fascino narrativo, espone elegantemente come siano innegabili le responsabilità del filosofo di aver concorso al filone antisemita e reazionario della cultura tedesca; ma che se egli fu, e lo fu certamente, partecipe consapevole della dottrina nazionalsocialista, lo fu di quella parte incarnata nell’aspetto cameratesco precedente le derive megalomani e quasi “trascendentali” di Hitler e del suo terzo Reich conquistatore.

Heidegger insomma, anche attraverso la trattazione sul personaggio del predicatore Abraham di Santa Clara, recuperò in gioventù quella tradizione pauperista, millenaristica e mistica, in cui s’infiammavano zelanti uomini di fede che a loro volta accendevano le folle; la furia dei poveri, dei contadini e degli artigiani aveva acquistato col tempo forti venature anti-semite, attribuendo all’ebreo usuraio ed avvelenatore di essere diventato poi l’ebreo borghese, spesso un funzionario ed esattore in nome di autorità politiche non riconosciute oppure odiate. Ecco, Heidegger, come filosofo popolare nel suo primo periodo, realizzò forse consciamente di voler diventare uno di quei predicatori; e, proprio come Lutero ma in modo molto più strettamente egoista che pragmatico, fu mosso da questioni di ambizione e carriera tanto quanto di zelo intellettuale.

La punizione che Heidegger certamente ebbe fu quella di non riuscire mai a superare o anche solo eguagliare il suo ammirato riferimento intellettuale, ovvero Nietzsche; grande esponente quest’ultimo del pensiero europeo, ed anti-razzista ante-litteram nonostante i prestiti scorretti fatti sul suo lavoro per colpa della sorella.

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