LA PAROLA

Petaloso

Uno dei più odiosi neologismi che mai abbia raggiunto la dignità del vocabolario Treccani. Secondo solo a “apericena” e ai gerundi tratti dai sostantivi (“dilettando”, “cioccolando”, verrebbe di aggiungere anche “smoccolando” di fronte a tali orrori linguistici), è stato un vero e propri caso cultural-letterario, avendo scomodato i severi accademici della Crusca, illustri firme di altrettanto illustri giornali, dibattiti a non finire sull’evoluzione del nostro bellissimo, ma maltrattato, idioma. Addirittura ha un proprio sito internet (www.petaloso.it).

Tutto risale a un giorno qualunque di febbraio, anno 2016, quando un ignaro e fantasioso bambino di terza elementare in un paesino in provincia di Ferrara, nel tentativo di descrivere un fiore, senza alcuna colpa ha tirato fuori dalla sua testolina la parola incriminata. E l’ha scritta.

Fin qui niente di anormale, i bambini usano la lingua per associazione di idee più che per conoscenza. Solo che la maestra si è lasciata affascinare dal nuovo lemma e ha scritto alla Crusca, l’Istituto nazionale per la salvaguardia della lingua italiana, per chiedere che l’aggettivo entrasse di diritto nel nostro lessico. E così è stato.

Inutile disquisire se sia giusto, se sia azzardato, se faccia bene alla lingua del Paese “ove il sì sona”, scriveva il sommo Poeta, inserire una tale mostruosità nel vocabolario. Purtroppo è nella naturale evoluzione di una lingua “viva” adattarsi al nuovo, coniare termini ad uso dell’evoluzione scientifica e tecnologia. In caso contrario saremmo in presenza di una lingua morta.

Allora ben vengano craccare, loggare, formattare, bannare, linkare, ecc. ecc, dato che, non esistendo verbi italiani che descrivano l’azione (occorre semmai tutta una perifrasi), è necessario ricorrere all’universale inglese per semplificare la comprensione. Non contenti lo italianizziamo aggiungendo l’infinito –are, -ere, -ire. Cosa che potrebbe essere evitata, ma tant’è.

Torna inevitabilmente alla memoria l’evoluzione della lingua italiana negli anni ‘40 e‘50, con la cingomma, il frigo (che i più temerari declinano al plurale, frighi), il trenc (scritto così). Allora il Paese usciva da un ventennio di autarchia anche linguistica, durante il quale Lui aveva scomodato illustri professori per italianizzare le parole straniere. Uno per tutti, Bruno Migliorini, linguista, filologo e, per anni, presidente della Crusca. Al lui si devono “regista” al posto di “régisseur” e “autista” per “chauffeur”, “pellicola” per “ film”. Parole più stravaganti erano “color barolo” invece di “bordeaux”, “brioscia” e “sciampagna”, fino all’esilarante “marrone candito”.

Oggi viene da sorridere, ma l’introduzione di parole mutuate da un’altra lingua è sempre una forzatura, benché necessaria.

Cosa c’entra “petaloso” in tutto questo? Niente. Non c’entra proprio niente, appunto. Abbiamo già celebrato il funerale del congiuntivo, della “q” e del “ch”, non occorre andare oltre a infierire su una lingua non morta, d’accordo, ma pericolosamente “in fin di vita”.

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