EUROPA UNITA

Più o meno giusti, a seconda di dove

In Danimarca sono sufficienti 17 giorni per chiudere un procedimento davanti al tribunale civile di primo grado, contro i 1.100 di Cipro e i 400 dell'Italia. La lunghezza delle cause civili in Lussemburgo, Belgio e Lituania è di circa un centinaio di giorni, mentre a Cipro ne servono 600 e in Italia oltre 500. In Svezia una sentenza di primo grado del tribunale amministrativo (Tar) necessita di 105 giorni, a Cipro ne servono più di 1.400 e in Italia oltre mille. In Europa la giustizia non gira alla stessa velocità.

Con questo articolo inizia una nuova rubrica di TESSERE che intende mettere in luce, per quanto possibile, affinità e dissonanze di un continente che ci eravamo illusi potesse unire, “tessere”, far stare insieme e ricordandoci di come in passato ci ha invece diviso e portati allo scempio e all’orrore. Essere cittadino europeo non vuol dire ovunque la stessa cosa: ci sono cose che legano gli europei, altre che li dividono. Ecco qui si proverà a vedere, nel modo più semplice possibile, quali.

In Danimarca sono sufficienti 17 giorni per chiudere un procedimento davanti al tribunale civile di primo grado, contro i 1.100 di Cipro e i 400 dell’Italia. La lunghezza delle cause civili in Lussemburgo, Belgio e Lituania è di circa un centinaio di giorni, mentre a Cipro ne servono 600 e in Italia oltre 500. In Svezia una sentenza di primo grado del tribunale amministrativo (Tar) necessita di 105 giorni, a Cipro ne servono più di 1.400 e in Italia oltre mille.

Solo curiosità? Tutt’altro, visto che queste enormi differenze, oltre a non garantire i diritti fondamentali dei cittadini europei, rischiano di mettere in gioco lo stesso sviluppo economico dell’Unione europea.

Ecco due buoni motivi che hanno spinto l’UE a promuovere in tutti i Paesi che la compongono il ruolo della legge e il miglioramento dei sistemi nazionali di giustizia, tuttora caratterizzati da risultati estremamente differenziati, per non dire divergenti.

È così che vede la luce lo Scoreboard, quadro di valutazione della giustizia europea, il quale si concentra soprattutto sul contenzioso civile, commerciale e amministrativo, ideato per mettere ogni anno a confronto l’efficienza, la qualità e l’indipendenza dei diversi sistemi giudiziari europei.

Un sistema che non rischia di essere messo in crisi dalla “Brexit ”, visto che il Regno Unito non aveva mai nascosto la manifesta insofferenza a partecipare a tal operazione, regolarmente boicottata non presentando i dati richiesti.

Quest’anno si segnalano buoni risultati, grazie a sistemi giudiziari che, nel complesso, dimostrano una maggiore efficacia rispetto al passato. Nel contempo, però, si assiste anche al fenomeno di un gruppo di Stati deboli che continuano a non guadagnare e, in certi casi, addirittura a perdere terreno.

Le buone notizie comunque non mancano. Innanzi tutto la durata dei procedimenti giudiziari, civili e commerciali si è abbreviata dovunque, anche laddove permangono forti criticità. E nella maggior parte degli Stati sono già in vigore norme in materia di qualità, che fissano limiti temporali per evitare una durata eccessiva dei procedimenti.

La seconda buona notizia è che la maggioranza degli Stati si sono dotati di norme a tutela dei consumatori, anche se la durata dei procedimenti continua a variare notevolmente, a seconda dello Stato preso in considerazione. Col risultato che, anche in questo caso, almeno la metà degli Stati non partecipano proprio alla corsa.

La terza buona notizia, lungamente attesa, riguarda la lotta al riciclaggio del denaro, anche se nasconde il trabocchetto di una diversa durata dei procedimenti, che, a seconda degli Stati, possono andare da 6 mesi a 3 anni.

La cattiva notizia riguarda invece l’accesso alla giustizia per i cittadini più poveri, che resta spesso limitato, mentre in alcuni Stati i titolari di redditi inferiori alla soglia di povertà continuano a essere privati dell’assistenza legale gratuita nelle controversie.

Lo stesso uso degli strumenti informatici resta tuttora limitato ad appena la metà degli Stati. Questo significa che siamo ancora alle prese con sistemi di giustizia profondamente diversi dal punto di vista dei risultati.

La sorpresa inattesa, sicuramente positiva in quanto comune ai due terzi degli Stati, riguarda invece la percezione dei cittadini riguardo all’indipendenza della magistratura e delle imprese, che migliora o resta stabile. Le carenze residue d’indipendenza che resistono, in un quadro comunque positivo, vengono imputate soprattutto alle pressioni dei governi e dei politici.

In questo quadro complessivo, come si comporta l’Italia?

Il punto dolente del nostro sistema resta decisamente quello dei tempi da lumaca della giustizia. Ancora oggi è necessario più di un anno, in media, per chiudere il primo grado di una causa civile, ma si arriva a un anno e mezzo in caso di contenzioso e fino a tre anni nel caso si debba andare al Tar per una questione amministrativa. Anche nel caso più recente delle sentenze del Tar del Lazio, che hanno lasciato senza direttori cinque importanti musei italiani, a prescindere dai giudizi di merito, va sottolineata l’enormità del tempo necessario per arrivare al giudizio, con tutte le conseguenze del caso.

La durata delle cause civili, commerciali e amministrative, inchiodano l’Italia al quartultimo posto in Europa. Se si considerano solo i contenziosi civili e commerciali, conquistiamo il record negativo dei più lenti in assoluto, mentre in campo amministrativo solo Cipro riesce a fare peggio di noi.

Il problema è che il nostro sistema continua a funzionare alla rovescia. Abbiamo ancora pochi magistrati e troppi avvocati. L’Italia è quintultima nel numero dei giudici rispetto alla popolazione, appena 11 ogni centomila abitanti, ma schizza al secondo posto per il numero spropositato dei legali, 391 ogni centomila abitanti, con un trend che continua ad aumentare anche rispetto al 2010, quando erano 350.

Il nostro resta un paese con tante cause da esaminare e pochi giudici per smaltirle. Una situazione che non promette niente di buono.

Per fortuna non mancano i passi avanti, a partire dai progressi consistenti nell’uso dell’informatica. Un altro segnale positivo arriva dal decremento del numero delle cause, che scendono dal 6,9 per cento degli abitanti nel 2010 al 5,7 nel 2015. Diminuisce anche il numero delle cause pendenti, ma in questo caso restiamo incollati al quintultimo posto della classifica europea.

Appare infine incoraggiante il tasso di risoluzione delle cause, dove ci collochiamo al terzo posto, dietro Estonia e Portogallo, cercando così di recuperare una situazione piuttosto critica.

Di tutto rilievo è la continua crescita della presenza femminile nel mondo giudiziario con il 56% di giudici nei tribunali di prima istanza, il 51% in quelli di seconda, ma appena il 28% nelle corti supreme. Quest’ultimo caso non fa che riproporre, una volta di più, la storica difficoltà a far accedere l’universo femminile ai livelli di massima responsabilità.

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