LA PAROLA

Plebeismo

Considerate questa foto, apparsa qualche giorno fa sulle prime pagine di tutti i giornali del globo: nello studio ovale, Donald Trump firma il decreto sui nuovi dazi americani, affiancato da operai siderurgici in tuta e casco da lavoro: il presidente che si vanta di non aver letto un libro in vita sua, e un coro silenzioso di proletari bianchi di mezza età, trasferiti in gita premio alla Casa Bianca.

Quale miglior manifesto per illustrare la nuova tendenza planetaria? Quel plebeismo cognitivo, o plebeismo culturale, che ha trasformato l’antica e minoritaria ostilità verso la conoscenza in un nuovo e dilagante disprezzo di massa verso chiunque possa essere considerato intellettuale, scienziato, specialista.

Una limacciosa corrente di anti-pensiero percorre oggi le autostrade della comunicazione, dai goffi tweets del presidente americano ai miliardi di post e di messaggi che l’umanità “connessa” si scambia ogni giorno sui social del pianeta.

Come il coro silenzioso degli operai che assistono alla fine certificata della globalizzazione, questa moltitudine planetaria grida al cielo: «Basta con la sapienza, basta con gli esperti, basta con la conoscenza scientifica. Contro questa impostura degli intellettuali, noi da oggi possiamo fare da soli».

Il villaggio globale si scopre plebeo e violentemente anti-intellettuale. Ma non sono più – come nella storia è sempre accaduto – gli umili e le classi basse a diffidare della conoscenza e delle élites che incarnano specializzazione e competenza. La condanna sociale ha cambiato segno: oggi sono le classi dirigenti a manifestarsi plebeisticamente attive contro la cultura, gli intellettuali indipendenti (razza sempre più in pericolo) e quella libera ricerca che non può essere completamente controllata dal potere.

Un libro racconta agli italiani questa metamorfosi. (Davide Miccione, Lumpen Italia, il trionfo del sottoproletariato cognitivo, Milano 2015). E spiega: l’ignoranza, che fino a ieri era retaggio del proletariato economico e del sottosviluppo civile, è diventata oggi una condizione diffusa, che si è trasmessa a tutti i gangli della società, alti e bassi, medio-borghesi e proletari, fino a raggiungere le vette della politica.

L’ignoranza di nuovo tipo si accompagna a un fenomeno che potremmo definire “abolizione del tempo”. Il nuovo ignorante, orgoglioso del suo non sapere, trascorre la vita su uno sfondo piatto, indeterminato, nebbioso. Non c’è un passato a cui fare riferimento, non c’è futuro su cui proiettare le proprie aspirazioni, una coscienza di sé che non sia immediata, puramente intuitiva. Il mondo è così ridotto a una sorta di nebbia emotivo-sensoriale, come la nebbia che nell’Iliade gli dei facevano calare sugli eroi accerchiati dai nemici, per sottrarli alla battaglia e trascinarli in salvo.

Questo nuovo tipo di sottoproletariato, scrivono i teorici del plebeismo culturale, è del tutto impossibile da redimere. È rappresentato da una massa di manovra manipolabile all’infinito attraverso gli strumenti della comunicazione più o meno sofisticata.

Visione troppo pessimistica del presente e del futuro? Forse gli studiosi si sono fatti prendere la mano dal disgusto dell’attuale commedia umana, lo spettacolo miserevole di capopopolo ignoranti e di moltitudini urlanti. Forse infine qualcuno ci salverà, magari un nuovo presidente americano, o uno scienziato globale, o un eroe della conoscenza pura.

Intanto guardiamo con ansia e tremore ai segni che ci vengono offerti. Guardiamo a questa foto terribile: il miliardario-presidente firma il suo editto, i padri di famiglia assistono assorti e impotenti al rito che dovrà disegnare il futuro. La fabbrica, il lavoro, la casa, i figli, la città dove vivono. Nessuno sorride: è ancora una volta il padrone che decide per loro.