LA DATA

1 maggio 1900

Non erano passati molti anni da quando, quello stesso giorno del 1886, una manifestazione operaia a Chicago fu duramente repressa nel sangue e dette vita alla Festa del lavoro. Dalle pagine de “l’Avanti!” – quotidiano del Partito socialista su cui hanno scritto tanto Benito Mussolini, quanto Antonio Gramsci – Gabriele D’annunzio, che in quegli anni dimorava nella splendida villa della Capponcina, sulla collina di Settignano sopra Firenze, ma soprattutto dove “il Vate” visse la storia d’amore con la grande Eleonora Duse, celebrava la ricorrenza entrata a pieno titolo nella tradizione con i versi del suo Canto di festa di Calendimaggio:

Uomini operatori, anime rudi

ansanti nei toraci vasti, eroi

fuligginosi cui biancheggiano buoni

i denti in fosco bronzo sorridenti

e le tempie s’imperlano di stille;

voi che torcete il ferro su le incudi

il pio ferro atto alle froge dei buoi,

alle unghie dei cavalli, atto ai timoni

dei carri, atto agli aratri, agli strumenti

voi presso il fuoco avido seminudi

artieri delle antiche fogge

Ecco, le immagine evocate in questi versi rappresentavano quanto di più lontano fosse (e sia) immaginabile dall’effettiva quotidiana esperienza degli artigiani e degli operai di quel tempo.

I versi di D’Annunzio, al tempo della sua breve parentesi socialista, davano voce a tutto quel repertorio di simboli ed immagini che caratterizzavano l’iconografia del lavoro: carri ed aratri, incudini e martelli facevano da sfondo al vero protagonista, un possente operaio dal “vasto torace”, “seminudo”, “atleta coronato da faville”.

E poi, al di là della poetica dannunziana, queste immagini allegoriche finirono per esprimere il moto ascendente del proletariato, del movimento operaio dove in seguito la figura femminile prese quasi il sopravvento, dovendo raffigurare l’alba del nuovo socialismo. Una donna spesso generosamente discinta, dispensatrice di grazie e personificazione del mito primaverile del passaggio verso una nuova più felice stagione, che spesso finisce per sovrapporsi ai raggi del sole nascente, altro classico simbolo socialista.

Talvolta l’immagine femminile veniva sostituita da altri evocativi simboli, come la locomotiva, che a cavallo tra Otto e Novecento, soprattutto dopo un celebre viaggio di Lenin, rappresentava la testimonianza più viva di una tecnologia innovativa, ma che al contempo dava l’idea del movimento e dell’inarrestabile progresso. Al suo passaggio venivano inesorabilmente travolti grassi borghesi, militari e preti, facendoci tornare in testa lontane note ed immagini di denuncia politica di gucciniana memoria.

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