IL PERSONAGGIO MEMORIE

Quel triestino che sapeva non farsi vedere

È stato uno dei personaggi più discussi e affascinanti della storia della finanza europea. Fuori dagli schemi, burattinaio della politica e dell’economia, abilissimo a tirare le fila e altrettanto abile a farlo senza mai apparire troppo. Camillo Castiglioni, talmente bravo a non farsi vedere che quasi nessuno oggi si ricorda di lui, che pure è stato tra i finanziatori di Francesco Giuseppe, di Mussolini e di Tito, che ha speculato contro il franco, responsabile di fallimenti di banche, ma anche artefice di clamorose rinascite industriali. Quando poco prima del Natale del ’57 i giornali italiani ne annunciarono la morte, avvenuta nella sua casa dei Parioli a Roma, “la Stampa” scrisse: «scompare una delle più potenti figure del mondo finanziario europeo dei primi quarant’anni del secolo». Ma l’Italia del boom economico lo aveva dimenticato quasi del tutto.

Il figlio del banchiere, Giuseppe Toeplitz (polacco, direttore della sede genovese della Banca russa per il commercio estero e, una volta ottenuta la cittadinanza italiana, consigliere delegato della Banca commerciale italiana), lo aveva definito «un piccolo uomo insignificante, assai poco rappresentativo, a linee curve arrotondate: come un uovo. Parlava costruendo la frase come se traducesse letteralmente dal tedesco, con un accento spiccatamente veneto, anzi triestino. Papà affermava che era il più scaltro negoziatore che avesse mai incontrato. Non diceva mai di no, lasciando che l’avversario si affondasse ben bene per poi chiuderlo nella rete, acchiappandolo senza farlo strillare».

Nato a Trieste il 22 ottobre 1879, nel giro di pochi anni, grazie al suo fiuto per gli affari, Castiglioni divenne uno degli uomini più ricchi dell’Europa centrale nel periodo tra lo scoppio della Prima Guerra mondiale e l’avvento dei regimi totalitari. Aveva iniziato ai primi del 900, a Vienna, commerciando in ruote e tessuti per mongolfiere. Presto era passato ai motori, avviando collaborazioni che lo avrebbero trasformato in uno dei maggiori produttori di aeromobili dell’impero. Era stato, infatti, uno dei primi investitori nella produzione di apparecchi, proprietario della compagnia aeronautica Hansa-Brandemburg e della Austro-Daimler dal 1914, dove aveva come capo progettisti nomi del calibro di Ferdinand Porsche. Sua fu l’operazione finanziaria che, nel 1917, salvò dal fallimento la piccola (allora) casa automobilistica tedesca BMW, rilanciandola sul mercato. L’incontro con Porsche, dieci anni prima, era stata la svolta. L’ingegnere progettava e costruiva, mentre Castiglioni amministrava, con il risultato che il primo dirigibile militare austro-ungarico lo costruirono loro e su quel “pallone”, il 29 novembre 1909 sorvolarono Vienna.

Figura trasversale negli interessi – era anche un mecenate, un appassionato di arte e di musica – quanto nella politica, non ebbe alcuno scrupolo a collaborare con una parte piuttosto che con l’altra. Dopo la caduta della monarchia asburgica, cui aveva fornito gran parte degli aeroplani impiegati durante la guerra, divenne il principale operatore nelle borse mitteleuropee e uno dei più importanti promotori di iniziative industriali. Ebreo di origine, si iscrisse al Partito nazionale fascista, fu un collaboratore e un consigliere di Mussolini nei primi anni di governo, per allontanarsene progressivamente fino a rompere del tutto, nel ’38 all’approvazione delle leggi razziali. Nel frattempo, con Hitler al potere, aveva ceduto le proprie attività in Germania e in Austria e si era trasferito negli Stati Uniti. E anche oltreoceano divenne presto un nome di rilievo dell’alta finanza, tanto da tornare in Italia, nel 1946, come fiduciario delle banche americane.

Fu proprio il «Rockefeller europeo», come lo aveva definito il “New York Times”, dopo la seconda guerra mondiale a mediare il primo grosso prestito occidentale a Tito che l’Allenza atlantica volle per allontanare la Jugoslavia dall’orbita sovietica. Quando Belgrado decise di non pagare le commesse pattuite, Castiglioni avviò una solitaria battaglia legale contro Tito e la vinse, facendo sequestrare i beni jugoslavi in Italia.

Di lui si narrano aneddoti, come quello raccontato da Gianni Scipione Rossi nella biografia Lo squalo e le leggi razziali, secondo cui Castiglioni, con l’Italia occupata dai tedeschi e in pieno delirio antiebraico, si era rifugiato a San Marino dove viveva in un convento in abito da frate. Gli abitanti del posto conoscendo il suo gusto per la comodità lo avevano soprannominato «il frate con le calze di seta», sfottendo la sua abitudine di portare i calzini del prezioso filato sotto i sandali da frate. Il teorico fascista Giovanni Preziosi ne parlò come di un «Cagliostro al centro dell’eterno connubio tra giudaismo, massoneria e plutocrazia».

Accanto a questa “anima nera”, di cui in molti hanno esaltato e criticato la spregiudicatezza, Castiglioni coltivava anche una grande passione per l’arte e la cultura: a lui di deve il sostegno alla Fondazione Mozart che consentì il rilancio del Festival di Salisburgo, nonché il restauro del teatro Josefstadt a Vienna. Amava circondarsi di intellettuali e artisti, nelle sue case si potevano ammirare tele del Tiepolo, di Tiziano e di Rembrandt, una raccolta di capolavori che fu costretto a mettere all’asta nel 1924, a causa di una ardita speculazione sul franco che lo portò quasi al fallimento. Quando, nel 1930, si diffuse la voce che avrebbe lasciato l’Austria per trasferirsi a Milano, molti personaggi del mondo della cultura lanciarono un appello pubblico per convincerlo a non partire.

Alcuni hanno paragonato la sua lunga vita di luci e ombre, di ascese e cadute, di crisi e rinascite, fino alla morte in solitudine, a quella di Charles Foster Kane, al protagonista del film di Orson Welles Quarto potere, a sua volta ispirato a William R. Hearst, il magnate americano dell’industria del legno e dell’editoria.

Ma la realtà della vita di Castiglioni ha superato la fantasia del celebre dramma, dispiegandosi nel periodo storico più sanguinoso e complesso del vecchio continente, come un drammatico e affascinante ritratto di un Europa già allora alla ricerca dell’identità culturale e storica, forse ancora oggi lontana a venire.

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