CRITICA FILM LIBRI

Quell’eroe per caso scoperto da Montanelli

Giorni addietro, gironzolando alla ricerca di libri perduti, una curiosa coincidenza. La sera precedente avevo deciso di vedere un film desueto e ingiustamente sottovalutato, Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini, insignito del Leone d’oro al Festival di Venezia del 1959, ex equo con La grande guerra di Mario Monicelli, da poco restaurato.

Ebbene, quasi per miracolo mi trovo di fronte all’omonimo “piccolo libro” di Indro Montanelli, di cui ignoravo l’esistenza. Avevo sempre amato la superlativa prestazione di Vittorio De Sica nei panni del protagonista e l’ottima sceneggiatura, firmata dallo stesso Montanelli con Sergio Amidei e Diego Fabbri. Ma dell’esistenza del libro non sapevo niente. Così non mi sono lasciato scappare l’occasione.

Come nasce il libro? Montanelli è recluso a San Vittore, compagno di cella di Mike Bongiorno e debitore della vita, come parecchi altri tra cui Ferruccio Parri, al dottor Ugo, misterioso confidente della Gestapo. Un bel giorno arriva un detenuto, che si presenta come un generale, amico intimo di Badoglio e consigliere tecnico di Alexander. Montanelli entra presto in confidenza con lui. Il suo nome è Giovanni Bertone, nel film Emanuele Bardone, millantatore e forse spia dei nazisti, che lo convincerà ad profittare dell’occasione di evadere dal carcere

«Ho il diritto di approfittare di questa occasione?», gli domanda. «Non ne ha il diritto. Ne ha il dovere… Addio, capitano!». Sarà così che avrà salva la vita, mentre Bertone, unico prigioniero non politico, verrà trucidato con 66 politici dai nazisti a Fossoli.

Quindici anni dopo, Montanelli si presenta a Rossellini con la prima versione del libro. Il regista resta colpito dalla storia dell’eroe per “sbaglio” e decide di approfondirla, coinvolgendo nel lavoro due specialisti del mestiere come Amidei e Fabbri. L’autore non fa una piega, si mette al lavoro con i due e sposa in toto il nuovo testo, trasferendolo direttamente sul libro.

Nasce così il generale Della Rovere, personaggio sconosciuto, da tutti atteso, come Godot, e destinato a non entrare mai in scena, perché morto. Toccherà a Bertone, ricattato dai nazisti, prenderne il posto, perché in una prigione piena zeppa di militari e partigiani, il loro obiettivo era quello di strappare informazioni preziose sui movimenti del nemico.

Montanelli e Rossellini la pensano allo stesso modo: quindici anni dopo la fine della guerra, il neorealismo è ormai uno strumento superato, e se lo dice Rossellini bisogna dargli credito. Alla vigilia degli anni Sessanta, non si tratta più di ricercare e riprodurre la verità storica. L’impegno nuovo è quello di andare alla ricerca di tante piccole storie, come quella di un pregiudicato, avvezzo a vivere di espedienti, che scopre per caso di essere capace di un gesto finale di dignità e di coraggio, «finendo per diventare, in qualche modo, anche lui un eroe».

Ma neppure il suo sacrificio gli potrà riconoscere il diritto a morire insieme ai veri eroi.

Il libro si apre con una curiosa “avvertenza” dell’autore: «Questo piccolo libro non è che la traduzione, in termini narrativi, del cosiddetto “trattamento”, su cui la sceneggiatura si è basata». Esattamente il contrario della consuetudine cinematografica, che utilizza un libro preesistente per realizzarne un film. In questo caso, invece, è il libro che si adatta alle esigenze cinematografiche.

L’autore spiega che «nel nostro paese c’è sempre bisogno di avvertenze», come dimostrano le infinite controversie suscitate da questo caso, fino ad attribuire all’autore un’intenzione di dileggio ai martiri di Fossoli e a chiedere al ministero della Difesa la rimozione dal sacrario della salma del traditore, che vi giaceva ormai da quindici anni. Questo breve racconto non pretende di essere “assolutamente vero”, sebbene abbia per protagonista il vero Giovanni Bertone, l’unico personaggio realmente esistito. Quanto a Della Rovere, vale la spiegazione offerta per l’intero libro: «L’ho scritto come una storia, non come una pagina di storia».

Quella che si racconta è la storia della singolare vicenda che avrebbe condotto il pregiudicato Bertone a una morte degna del migliore Della Rovere. La rappresaglia tedesca a un attentato costato la vita a 7 militari nazisti a Genova, scatena la strage del lager di Fossoli, presso Carpi. Il 12 dicembre del 1944, la Gestapo, secondo la regola, prepara un elenco nominativo di 70 prigionieri politici: comunisti, socialisti, monarchici, cattolici e addirittura sacerdoti. Tre di questi riescono a far perdere le loro tracce. Tra i sessantasette trucidati, uno solo non era prigioniero politico, ma semplice pregiudicato. Era Giovanni Bertone.

Ma fu veramente un traditore Bertone-Della Rovere? Montanelli non è in grado di rispondere alla domanda. Sa soltanto che «è caduto come coloro che non lo erano. E sa anche che Gesù Cristo non si sentì offeso dalla vicinanza di Barabba». Comunque l’autore non intende giudicare «questo polivalente e inquietante personaggio, che forse non seppe nemmeno lui dove e come cessò di essere un avventuriero per diventare un eroe e, scivolato senza accorgersene nel dramma, non vi si mostrò impari. Ho cercato soltanto di darne una spiegazione. E con la collaborazione di Sergio Amidei e Diego Fabbri, spero di esserci riuscito».

Nel giugno 1945, le salme dei sessantasette trucidati di Fossoli vengono allineate nel Duomo di Milano per la solenne benedizione del cardinale Schuster e ricevono il commosso omaggio della cittadinanza. «Su una sola non cadranno né lacrime di parenti né fiori di amici. Stava un po’ in disparte e discosta dalle altre. Credo di essere stato io la sola persona che vi sostò dinanzi e vi depose un mazzo di crisantemi. Confesso che lo feci furtivamente, un po’ timoroso che qualcuno mi vedesse. Non tutti forse avrebbero compreso quel gesto di pietà verso il generale Della Rovere».

Lo sbarco del generale Della Rovere sulla Riviera di Levante ci presenta un ufficiale che non si sa bene chi sia, ma che porta un bel nome. Lo aspettano a gloria partigiani e nazisti. Tutti lo vogliono vivo, i primi per seguirlo, i secondi per torturarlo. Invece arriva morto. Allora i tedeschi fanno circolare la voce che il generale è stato arrestato e si trova nelle loro mani. Di sicuro c’è solo il fatto che Bertone arriva a San Vittore sotto mentite spoglie.

«Della Rovere aveva il monocolo, il profilo aristocratico, le gambe arcuate e la struttura leggera degli ufficiali di cavalleria, la dentiera, il busto. Aveva serbato perfettamente rase le guance, i pantaloni stirati, le unghie pulite. In quel luogo nefando dove tutti, accomunati dal sudiciume, ci davamo del tu senza distinzioni di rango e di origini, fu l’unico, dopo tanto tempo, a interpellarmi col lei».

«“Capitano Montanelli, vero?” disse senza tendermi la mano impegnata a lustrare col fazzoletto il monocolo. “Sapevo della sua presenza qui prima ancora di sbarcare: Badoglio in persona me ne aveva informato a Brindisi. La sua sorte è seguita con viva simpatia, anche se con poche speranze, dal governo di Sua Maestà. Sappia però che il giorno in cui cadrà sotto il piombo del plotone di esecuzione, ella non avrà compiuto che il suo dovere, il più elementare dovere di ufficiale. Stia pur comodo!”».

«Un giorno i sessantasette deportati di Fossoli furono tratti fuori dalle baracche, allineati contro un muro e mitragliati. Il rapporto riferiva che il generale, quando seppe della sorte che aspettavano lui e i suoi compagni, aveva chiesto una cosa sola: di poter indossare il vestito che gli era stato mandato in carcere e che non aveva mai messo. Glielo avevano consentito, e con quell’abito intatto e ben stirato aveva raggiunto con passo sicuro il suo posto. Un attimo prima dell’ordine di fuoco, si era staccato dalla fila facendo un passo avanti e aveva gridato: “Viva l’Italia!…Viva il Re”».

Il libro Il generale Della Rovere, edito da Rizzoli, esce in contemporanea con il film e riscuote un buon successo con tre edizioni nel settembre 1959 e una quarta nel mese successivo. Le polemiche continueranno, acuite anche dal premio dell’Office Catholique International du Cinéma, che riconoscerà all’opera «un afflato spirituale superiore alle interpretazioni politiche».

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