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Petali di cemento, così rinasce il Generoso

Petali in vetta a una montagna, il Monte Generoso che domina il lago di Lugano. È il Fiore di pietra, un rifugio in cemento armato progettato dall’architetto Mario Botta che da oggi prende il posto dell’albergo costruito su quella cime esattamente 150 anni fa. Per costruirlo prima, e raggiungerlo ora, niente strade, solo il trenino che si inerpica fino a 1.700 metri d’altezza. Ecco come è stato pensato.

Un’impresa ingegneristica imponente come la montagna eppure leggera come un fiore, nata da uno schizzo a matita nello studio di Mendrisio, dove Mario Botta – l’architetto ticinese, classe 1943, spirito senza età – lavora circondato da centinaia di manuali di design.

È il Fiore di pietra, l’edificio che da oggi farà rinascere la Vetta del Monte Generoso, la montagna più a sud della Svizzera, mèta di pellegrini dell’escursionismo, del trekking, del parapendio, che, con i suoi 1.700 metri di altezza, sorveglia il bel lago di Lugano svettando sui tetti di Mendrisio e Capolago.

Esattamente 150 anni dopo la nascita del primo albergo del Monte Generoso, quello di Carlo Pasta, inaugurato l’8 aprile 1897, la montagna rinasce sotto forma di fiore con il progetto disegnato e realizzato dal genio creativo di Mario Botta, riaprendo le sue braccia, pronta ad accogliere quanti amano la montagna, la natura, il sole e il buon cibo.

L’edificio è stato commissionato dalla Ferrovia del Monte Generoso per restituire alla montagna e ai comuni circostanti un ruolo centrale, di complicità turistica e culturale tra Italia e Svizzera. Un vero e proprio dono dal cielo per Mario Botta e per tanti come lui che, da adolescenti, salivano sul Generoso per vedere sorgere il sole o per toccare le stelle.

Un territorio di iniziazione, dunque, il cui spirito è sintetizzato proprio nel Fiore di pietra: i ristoranti ospitati al suo interno sono per l’architetto solo un pretesto per prendere possesso di una terra, di un luogo che è un tòpos. Partendo dal piacere del mangiare e del bere, quel luogo assume un significato simbolico e comincia a raccontare di sé a chi lo assapora.

Il piatto forte del Monte Generoso è sempre stato unico: il panorama, anche quando al posto del Fiore di pietra sorgeva il ristorante Mövenpick, un enorme scatolone senza poesia. Le Alpi da un lato, che s’innalzano a nord, i prati dalla parte opposta, che scivolano verso sud: sono le due anime del Generoso, così diverse l’una dall’altra eppure amiche. Dall’alto della sua cresta lo sguardo abbraccia sia la Pianura Padana sia il bacino del Ceresio, rendendo il mendrisiotto non più terra di confine e di separazione bensì ponte di sorellanza tra Italia e Svizzera, unite dalla bellezza di una natura immutata.

La Vetta è raggiungibile con sana fatica a piedi, oppure con un trenino a cremagliera che da Capolago s’inerpica con pazienza sulla montagna per consegnare i turisti ad un posto in prima fila nel teatro naturale a due passi dal cielo. Il Fiore di pietra appare in lontananza come un’espressione stessa della montagna, che tesse un armonioso dialogo con il paesaggio. Perché per Botta l’architettura è un mestiere fatto non per costruire in un luogo ma per costruire quel luogo, interpretandone l’anima: «Volevo darle una forma centrale – ha spiegato Botta sul “Corriere del Ticino” – come una chiesa ortodossa, bizantina… C’è una forma di sacralità laica».

Sacralità laica, parole che svelano l’impatto che l’opera intende avere sui suoi fedeli visitatori: sensazioni di libertà, leggerezza, voglia di sentirsi librare sospesi senza più la terra sotto i piedi.

Dietro la leggerezza si celano tuttavia i segreti dell’edificio: alla base del Fiore di pietra, mediante una serie di micropali (barre di acciaio) di lunghezza variabile tra i 15 e i 25 metri, per un totale di 600 metri, sono stati cuciti verticalmente gli strati inclinati della roccia calcarea. Operazione ardua data la difficoltà di trasportare il materiale fin lassù, ma indispensabile per garantire stabilità al masso roccioso.

L’altra sfida lanciata è stata proprio quella di non costruire una strada per raggiungere la vetta: è stato sfruttato il treno a trazione elettrica con corse giornaliere, raramente la locomotiva diesel e ancor più raramente si è ricorsi agli elicotteri per non violare il silenzio della montagna. In due anni di lavori sono state fatte 3.000 corse (6.000 contando andata e ritorno) per trasportare oltre 20.000 tonnellate di materiale.

Una costruzione in cemento armato tradizionale, con una struttura portante semplice, ridotta all’essenziale, di pianta ottagonale dalla quale si levano i petali che si schiudono aprendo l’edificio verso l’esterno, dalla terra al cielo.

«L’uomo ha bisogno di infinito – spiega ancora Botta -. Bisognava dunque andare oltre la funzione Questa era la forma da introdurre per le pareti, qualcosa per cui se ti ci trovi dentro, voli!».

Il monte, dunque, come 150 anni fa, torna ad essere… Generoso.

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