LA PAROLA

Quistióne

È la forma letteraria o popolare della parola questióne impiegata ampiamente da Antonio Gramsci nei suoi scritti – la cui edizione nazionale completa sta per essere portata a termine dall’Istituto Treccani insieme alla Fondazione Gramsci – al quale TESSERE ha dedicato il volume curato da Gian Luca Corradi, Il giornalismo, il giornalista, con prefazione di Luciano Canfora e postfazione di Giorgio Frasca Polara.

Nell’uso dotto viene usata anche la forma latina quaestio: ne fa magistralmente uso Primo Levi, a cui TESSERE ha dedicato l’appassionata biografia Questo è un uomo, per intitolare uno splendido racconto – Quaestio de Centauris – di cui non si dice niente se non di leggerlo o rileggerlo.

La parola questione viene dal lat. quaestio -onis, derivando dal verbo quaerĕre «chiedere, interrogare». È il secondo significato che gli attribuisce il Vocabolario Treccani quello principale di cui, appunto, Gramsci si serve ampiamente: significa una «situazione, caso che costituisce un problema, e che viene perciò proposto a sé stessi o ad altri per una valutazione ed eventuale soluzione». Di più: «il modo stesso, e i termini, in cui viene proposto e formulato» quel problema.

Una delle principali “quistioni” di cui si occupa Gramsci è quella “meridionale”: lo fa a partire dall’ottobre del 1926, poco prima di essere arrestato, iniziando la stesura di un saggio, rimasto incompiuto, intitolato Alcuni temi della quistione meridionale, che sarà poi pubblicato per la prima volta a Parigi nel gennaio del 1930 su “Lo Stato operaio”. Fu sollevata dal deputato lucano Giustino Fortunato subito dopo l’unità d’Italia e non è mai stata risolta.

In estrema sintesi è la riflessione sulle ragioni del divario non solo economico fra il Mezzogiorno d’Italia e il Nord del paese già nell’antichità e poi nell’età giolittiana ed ancora con l’avvento al potere del fascismo, con l’intento di sfatare quel luogo comune diffuso dal ceto intellettuale-borghese anche fra gli operai del Nord, secondo il quale il Mezzogiorno sarebbe la palla di piombo «che impedisce più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia». Sconfiggere questo pregiudizio è per Gramsci una condizione indispensabile per far nascere le condizioni di una alleanza fra la classe operaia e le masse popolari del Mezzogiorno.

Ma qui davvero se ne da conto in modo molto sommario. Per restare invece alla parola questione si deve dire che essa la si formula, la si discutere, se ne esaminano tutti i lati, la si affronta sotto tutti gli aspetti. Può essere facile (allora è una questioncèlla) o difficile, semplice o complicata; da poco o una grossa questione; è «di lana caprina», quand’è futile e oziosa; «bizantina», se troppo sottile, artificiosa e pedantesca.

La questione è da risolvere ma può essere «mal posta». «Non è questa la questione» sta a dire che si sta ragionando su un punto sbagliato di un determinando argomento, che si è andati fuori tema, che si guarda il dito anziché la luna da esso indicata o la pagliuzza nell’occhio quando si ha un trave altrove come nelle vignette di Altan.

I termini della questione si possono allora spostare, la si può riproporre «in altri termini» o «uscire dai limiti della formulazione originaria». Si dice: «si presenta qui la questione se …»; «è l’eterna questione dei limiti tra giusto e ingiusto»; ed ancora: «lo stato, il punto della questione», o anche il «nòcciolo» che è «il suo punto fondamentale», mentre il «nodo» sono «gli aspetti essenziali e più complessi».

Una questione la si lascia impregiudicata. La persona o il caso «in questione», son quelli di cui si sta discutendo. La questione può avere aggettivi che ne determinano l’àmbito: può essere storica, filosofica, teologica, morale, tecnica, pratica. Nel linguaggio giuridico la si classifica come «pregiudiziale», «di principio», «formale o sostanziale», e ancora «di diritto»; è «di procedura» quando non è «di fatto», o «di merito».

La Costituzione ne parla definendola «di fiducia» per riferirsi alla «richiesta da parte del governo di ricorrere al voto di fiducia per l’approvazione o la reiezione di emendamenti e articoli di progetti di legge».

Il caso specifico impiegato da Gramsci è quello che si riferisce a una «Situazione che per la sua rilevanza e complessità è stata a lungo dibattuta con varie proposte di soluzione, assumendo una denominazione specifica»: la questione allora può essere «lunga, annosa, eterna, controversa», «politica, sociale, letteraria, linguistica», «sociale, economica, come problematica di varî paesi o gruppi di paesi, o di regioni e zone»; e poi ancora «operaia», «morale», questa sollevata da Enrico Berlinguer dopo il terremoto in Irpinia e la sua svolta di Salerno, riferendosi alla corruzione entrata nella politica con la quale ancora si fanno i conti. C’è poi la questione «femminile», relativa alla parità di diritti dei cittadini dei due sessi, e alle specificità delle donne. Per secoli s’è ragionato della questione «ebraica», alla quale Karl Marx ha dedicato un volume proprio così intitolato. La questione «d’ Oriente» è «insorta alla fine del sec. 18°, e protrattasi per tutto il sec. 19°, a seguito del progressivo indebolimento dell’Impero turco»; quella «balcanica», «propostasi nel quadro politico europeo, soprattutto centro-occidentale, nei secoli 19° e 20°, per i problemi nazionali e territoriali dei paesi dei Balcani»; ed ancora la questione «romana», sorta «dopo l’annessione al Regno d’Italia nel 1860 dei territorî dello Stato Pontificio» e relativa alla complessa definizione dei rapporti tra i due Stati.

Quando si dice che la buonafede di qualcuno è fuori questione s’intende che non è in dubbio. Fare o non fare questioni, e senza tante questioni, sta a dire che non si sollevano obiezioni, difficoltà, discussioni inopportune, che la faccenda è già risolta. Non è il caso di rimetterla in questione. Poi c’è «è questione di vita o di morte», «quel lavoro per me è questione di pane», «è solo questione di tempo»; «di dieci minuti»; «di denaro»; «di onestà», «è pura questione di forma»

Questione è anche un «contrasto, alterco, contesa vivace, lite»: «non è il caso di venire a questione per cose di così poco conto»; «stai sempre a far questione». La questione «d’onore» la si risolve con un duello.

Non s’è detto della sua prima definizione, quella letteraria, laddove indica «domanda, interrogazione»: «formulare una questione». Scriveva Boccaccio: «più caute diverrete nelle risposte alle quistioni che fatte vi fossero». Per questa via anticamente corrispondeva ad «interrogatorio giudiziario, inquisizione, attuati anche con il ricorso alla tortura; applicazione della tortura». Anche in questa formulazione Gramsci ne sapeva qualcosa.

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