LA PAROLA

Referendum

È una delle maggiori garanzie di democrazia diretta che la Costituzione assicura ai cittadini italiani, perché consente loro di pronunciarsi su un quesito senza alcun intermediario. Uno strumento, quindi di sovranità popolare, sancita dall’articolo 1 della Costituzione.

Recita, infatti, l’articolo 75 della Carta: «È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum».

La parola deriva dal gerundivo neutro sostantivato del verbo latino refero, (infinito, referre) cioè “riportare”, “riferire”, in particolare dalla locuzione ad referendum, con il significato di “a riferire”. L’espressione ad referendum è utilizzata nel linguaggio diplomatico per indicare la riserva con la quale un negoziatore internazionale accetta proposte che vanno oltre i poteri conferitigli e non possono essere definitivamente accolte, senza che il suo governo ne sia informato; nonché il limite del mandato a trattare affidato a un negoziatore, cui viene conferita la facoltà di ricevere proposte ma non di accettarle senza l’autorizzazione del governo.

Nel significato con cui è universalmente conosciuto, invece, il sostantivo referendum, come riportato sul vocabolario Treccani, è «l’istituto giuridico per il quale è consentita o richiesta al corpo elettorale una decisione su singole questioni».

Diverso da Paese a Paese, secondo la Costituzione italiana, può essere abrogativo, costituzionale, territoriale. In base agli scopi può essere anche deliberativo, legislativo e propositivo, ma questi ultimi tre tipi non sono previsti dalla Carta.

In Italia, il primo referendum si svolse il 2 giugno del 1946, quando 25 milioni di italiani, tra cui per la prima volta anche le donne, vennero chiamati alle urne per decidere se il Paese doveva essere governato da una monarchia o da una repubblica. Quello successivo, c’è stato ben 28 anni dopo e riguardava l’abrogazione della legge sul divorzio. Da allora in Italia si sono tenute altre 70 consultazioni referendarie, l’ultima il  4 dicembre 2016, sulla riforma della Costituzione voluta dal Governo Renzi.

Ben pochi a confronto con i 600 della Svizzera, che detiene il record in Europa. Complessi, ma meno “strani” di quello con cui, nel 1977, l’Australia scelse l’inno nazionale; o quello del 1908 in Islanda per vietare l’importazione di alcol dall’estero. Peraltro abrogato 25 anni dopo con un altro referendum, seguito dalla rapida ripresa dell’importazione di alcolici.

La palma del più curioso va alla Svezia, che nel 1955, chiese ai cittadini se volevano cambiare il lato di guida da sinistra a destra. Risultato a sfavore della guida all’inglese, bellamente ignorato dal Parlamento che decise comunque di spostare la guida a destra.